‘Imaginary’, mai fidarsi degli amici immaginari

Nel nuovo horror Blumhouse, in sala dal 14 marzo, un pupazzo di nome Teddy rivela il lato oscuro della nostra fantasia


Punto di riferimento del cinema horror commerciale a basso budget, la Blumhouse torna al cinema dal 14 marzo, dopo il successo di Five Night at Freddy’s, con una nuova storia del terrore firmata da Jeff Wadlow, anche sceneggiatore e produttore. Il film riprende un tema caro al genere, con una scrittrice di storie per bambini (DeWanda Wise) che rientrata alla casa della propria infanzia osserva la figliastra recuperare un misterioso orsacchiotto di peluche di nome Teddy, giocattolo con cui la bambina si legherà fino a scoprire che qualcosa di terribile si cela dietro i due profondi occhi neri in plastica.

Al centro dunque le atmosfere orrorifiche dell’infanzia, dove la fantasia può diventare incubo o, nei peggiori dei casi, realtà. Le sequenze più oniriche rivelano una certa inventiva, che però dai primi bei momenti del film rimangono lettera morta. Dobbiamo avere paura degli amici immaginari? Sono un dono o una maledizione? Imaginary non spicca per originalità e anzi si adagia sovente sui cliché del genere, senza trovare nella regia o nella sceneggiatura elementi di peso per spaventare o suggestionare lo spettatore. La storia accenna uno spaccato psicologico in cui la vicenda horror si fa metafora di traumi infantili e delle difficili situazioni di una famiglia osservate dalla prospettiva di una bambina, spaventata dall’arrivo di una nuova mamma e dal cambiamento improvviso della propria vita. La matrigna nel frattempo ritrova negli incubi sempre più reali della bambina qualcosa del proprio passato che aveva rimosso, cominciando così a dubitare dell’infanzia vissuta.

Contenuti, per fortuna, i jumpscare, tecnica di cui l’horror commerciale abusa per suscitare un facile spavento, a scapito però di una paura più profonda che riguardi davvero lo spettatore. Imaginary non rinuncia però ai colpi di scena; uno in particolare spezza il film a metà racconto, cambiandone l’aspetto. I riferimenti al presente cercano di svecchiare i modelli a cui Wadlow sembra guardare, da L’esorcista a Poltergeist, e un po’ come nel suo film precedente , Obbligo o verità, ampio spazio è affidato alla tecnologia, soprattutto in rapporto con la bambina. La riflessione, o volendo la critica, che associa elementi di terrore come la possessione dell’orsetto Teddy alla presenza di dispositivi, non si compie mai del tutto e il finale preferisce ancora una volta optare per cliché narrativi a cui lo spettatore arriva prima della reale fine del film.

La serie di pellicole su giocattoli abitati dal peggior male prosegue in casa Blum dopo M4gan e Five Night at Freddy’s, ma Wadlow non regge il confronto ed è forse Imaginary l’espressione recente meno riuscita di questo filone. È curioso però notare come questo horror sugli “amici/nemici immaginari” esca proprio a pochi mesi da If, la commedia di John Krasinski dedicata ai simpatici mostri (qui per davvero) creati dalla nostra fantasia e da cui non sempre riusciamo a separarci. Due versioni di una stessa storia.

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