Una crepa solca il terreno affacciandosi sull’orlo dell’abisso. Cani ululano con un guaito sinistro. In strada ci sono delle bare. Una statua della Madonna ha le dita monche, neanche lei può fare più nulla. Sul parabrezza di una vettura, ridotta a una carcassa, cancellando la polvere e i detriti qualcuno ha scritto la parola ‘hell’, Inferno.
Sembra una descrizione dello scenario post-apocalittico di un film alla Mad Max, ma è L’Aquila di oggi, dopo il terremoto che l’ha distrutta lo scorso aprile.
Così la ritraggono, nelle sequenze iniziali del documentario L’Aquila bella mé, i registi Pietro Pelliccione e Mauro Rubeo, accompagnando le immagini a una colonna sonora pulsante, ai limiti dell’heavy metal, che simula perfettamente la vibrazione prodotta da una violenta scossa sismica.
Ma il film, presentato al Festival di Roma nella sezione L’Altro Cinema-Extra, non intende affatto spettacolarizzare la tragedia. Emergono invece, dopo l’apertura “shock”, le azioni degli uomini, la voglia di ricominciare, la storia e la vita di una città ricca di sapere, che non merita di essere famosa solo per questa disgrazia.
Emerge la volontà di recuperare l’identità e la memoria, siano esse impresse sull’hard disk di un computer o tra le pennellate di un dipinto raffigurante il Cristo.
Emerge la necessità di una ripresa culturale, per contrastare la spinta devastante di una natura sì spietata, ma certamente anche coadiuvata dalla poca cura e dalla malafede delle istituzioni che avrebbero dovuto occuparsi della sicurezza.
Ne abbiamo parlato con Daniele Vicari, che oltre ad aver ideato il progetto con Pelliccione, lo ha prodotto assieme a Gregorio Paonessa e Valerio Mastandrea: un gruppo di lavoro tanto prestigioso quanto affiatato.
“L’idea è nata quando mi sono incontrato con Pelliccione sulla strada per l’Aquila pochi giorni dopo il terremoto – dice Vicari – Lui aveva lavorato con me in L’orizzonte degli eventi ed è aquilano, come tutta la troupe. In quei giorni dormiva in macchina. All’inizio volevamo proprio raccontare l’indebita spettacolarizzazione della morte e della sofferenza da parte dei media, così abbiamo iniziato a girare ed è nato il prologo”.
Poi è accaduto qualcosa che ha regalato al lavoro una svolta inedita. “Mentre andavamo avanti – prosegue il produttore – abbiamo capito che era importante piuttosto dare risalto alla vitalità e alla spinta energetica dei giovani che collaboravano con noi. In questo paese le forze ci sono, i ragazzi sono in grado di programmare il futuro, ma sono schiacciati da una potenza mediatica al servizio della politica. Purtroppo il terremoto è arrivato in un momento storico in cui l’Italia non era in grado di ragionare su se stessa. Ma il film dimostra che anche una tragedia come questa può essere l’origine di spunti di riflessione e impulso creativo”, conclude Vicari.
Il progetto è destinato ad avere un seguito. A Roma viene presentato un “work in progress”, che costituisce il racconto dei primi tre mesi post-sisma, con i funerali di Stato, il dolore, i dubbi sulla gestione dell’emergenza, le tendopoli. C’è anche una breve preview di materiali relativi al periodo successivo.
Al film è abbinata inoltre la proiezione del cortometraggio Immota Manet, realizzato da Gianfranco Pannone assieme agli Studenti dell’Accademia dell’Immagine de L’Aquila, presso la quale l’autore di Il sol dell’avvenire insegna Regia del Documentario.
“Immota Manet” è un motto che gli stessi aquilani usano, ironicamente, in maniera ambivalente: da un lato significa che la città rimane ferma e solida nonostante le continue scosse che è costretta a subire, dall’altro sta a indicare che tutto resta sempre uguale, e che le tragedie sono destinate a ripetersi.
È lo stesso Pannone a spiegarci la genesi del progetto:
“Con i ragazzi del terzo anno di corso preparavamo un documentario su Ignazio Silone, poi è arrivato il sisma e tutto si è fermato. Ma proprio Silone, in ‘Uscita di sicurezza’, aveva descritto il terremoto della Marsica e la caduta di Pescina, suo paese d’origine, durante la quale aveva perso i suoi cari. Così abbiamo deciso di proseguire, abbinando quelle parole alle immagini della tragedia di oggi.”
E Silone aveva anche sottolineato, con frasi di sconcertante attualità che rivivono nella lettura dell’attore Filippo Timi, che “brogli, furti, camorre e truffe” sono per la povera gente una calamità ben più penosa del cataclisma naturale.
Non a caso, le ultime immagini del corto sono dedicate alla Casa dello Studente, una delle tante strutture che non hanno resistito perché costruite con la sabbia.
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