Il Silenzio secondo Scorsese

Dal romanzo di Shusako Endo, dopo quasi 30 anni dalla prima stesura, Martin Scorsese dirige finalmente Silence. In sala dal 12 gennaio


“Con l’affermarsi del periodo Tokugawa, lo shogunato iniziò a consolidare il proprio potere e i missionari iniziarono ad essere percepiti come una minaccia. Le prime leggi che imponevano di mettere al bando i cristiani – era l’epoca Kakase Kirishitan, dei “cristiani nascosti” – risalgono al 1587, ma nel 1614 un editto di espulsione costrinse tutti i missionari alla clandestinità. Nel 1633 i Gesuiti ricevettero una notizia sconvolgente, Christovao Ferreira aveva rinnegato il credo, si era convertito al buddismo e stava collaborando con il governo giapponese”, Martin Scorsese spiega così il cuore del romanzo di Endo. Schermo nero, per alcuni lunghi secondi solo rumori diegetici della natura, intensi, acuti, stridenti, poi il silenzio, in tutti i sensi: nell’assenza totale di rumore compare il titolo a pieno schermo, Silence, un doppio monito – sensoriale: sonoro e di lettura – sul concetto centrale della storia.

E’ un film di dialogo, che si articola e snoda nel compimento di un duplice viaggio, nell’universo della Fede e delle religioni e alla ricerca della “scomparsa” di padre Ferreira, interpretato dall’irlandese Liam Neeson: “Ho voluto Liam perché avevo bisogno di figure di un certo peso, che esprimessero quiete e silenzio. Ogni momento in cui appare sullo schermo deve avere un effetto e far risaltare il contrasto con Adam e Andrew”, dice Scorsese. Adam Driver – padre Francisco Garupe – e Andrew Garfield – padre Sebastian Rodrigues – sono due giovani gesuiti portoghesi che partono da Macao alla ricerca del loro mentore, Ferreira. In particolare Garfield, come nelle intenzioni del regista, dimostra un grande talento nell’espressione di tutte le sfaccettature del personaggio, dalla spiritualità profonda alla sofferenza umana, dalla determinazione alla tolleranza, fino alla sua stessa conversione al buddismo, almeno formale, sulle orme di Ferreira: Sebastian Rodrigues muore stringendo un crocifisso tra le mani.

Il film non insegue la storia di proseliti del cristianesimo in terre lontane ma pone lo sguardo sulle sfumature delle fedi e come, pur dinnanzi a molteplici prossimità, spesso ricorrenti tra le religioni, ricorresse (e ricorra, il film rimane quanto mai attuale) comunque il bisogno di preservare la propria tradizione, finanche a costo del sacrificio di vite umane: si stima furono migliaia i cristiani torturati e uccisi in quel periodo pur di placare la paura della possibile diffusione di un’altra fede. Scorsese stesso, nella lettura del libro, rimase stupito nello scoprire che lui affrontava personalmente gli stessi temi sul cristianesimo – “basati sulla spiritualità del cattolicesimo in cui ero immerso da bambino, che ha a che fare con la fede” – tra cui il silenzio, ovvero quel non riscontro da parte del divino che il credente spesso attende e auspica a conferma del proprio operato o nella ricerca di un conforto, che invece non giunge ma, proprio nel nome della fede, dovrebbe comunque non essere spunto di incertezza ma anzi sprone nel procedere comunque nel nome del proprio credo, secondo i principi abbracciati, nonostante le prove della vita possano essere complesse e drammatiche, come succede nel film dinnanzi a torture, di palese richiamo alla crocifissione cristologica, o al taglio delle teste di fronte ai propri parenti e compaesani.

Il concetto del silenzio sta alla base del romanzo di Endo, uno dei pochi autori giapponesi che scrive da un punto di vista cristiano, e sta dunque alla base del film di Martin Scorsese che iniziò a lavorare ad un adattamento, con Jay Cocks (già sceneggiatore in Gangs of New York) alla fine degli anni ’80, passando per quasi 30 anni di partenze e interruzioni, soprattutto di ordine economico, fino alla realizzazione, iniziata il 31 gennaio 2015 a Taipei, Taiwan, grazie al supporto del regista Ang Lee, determinante nella ricerca e individuazione delle location, che in Giappone sarebbe stato troppo complesso e oneroso prevedere. Da qui il lavoro di uno dei collaboratori di sempre (è il nono film insieme), Dante Ferretti, per costumi e scenografia, costruita tra gli studi CMPC di Taipei, appunto, la vicina zona montuosa di Jinguashi, l’area di Tsenguanliaw e le insenature rocciose, prossime alle grotte, di Shimen Beach: “Quel Paese era la location perfetta in cui ricostruire il Giappone del XVII secolo per la varietà dei paesaggi, per il talento del suo popolo e per le attrezzature cinematografiche disponibili”, ha detto Emma Koskoff, produttrice, insieme a Scorsese e altre sei persone, tra cui Vittorio Cecchi Gori. Il film, un’esclusiva per l’Italia di Rai Cinema, esce nelle sale il 12 gennaio, due anni esatti dall’inizio delle riprese.

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10 Gennaio 2017

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