VENEZIA – Vasco sì, Vasco no. Alla fine non è venuto al Lido, è ricoverato in ospedale a Bologna. Ha mandato un messaggio scritto, che sarà letto sul red carpet. Lì ci saranno i due giovani autori del doc su di lui, che hanno meno di trent’anni e si sono conosciuti sul set di Albakiara, il film in cui recitava suo figlio Davide. “Ero molto preoccupata – racconta ora una di loro, Sybille Righetti – e gli ho detto al telefono che qua tutti lo aspettavano e che ci avrebbero sbranato. Lui mi ha risposto che è qui con noi, che nulla poteva aggiungere a quello che è già nel film e che il suo regalo per noi è il brano inedito dei titoli di coda intitolato I soliti“. Che fa: “Noi siamo i soliti, quelli così. Siamo i difficili, fatti così. Noi siamo quelli delle illusioni, delle grandi passioni. Abbiamo frequentato delle pericosole abitudini e siamo vivi quasi per miracolo”. E parla per lui.
Di Vasco si è scritto tanto, per tutta l’estate, e non solo su Questa storia qua, il film ampiamente anticipato che sarà in sala dal 7 settembre con Lucky Red. Blasco è malato, le voci sulle sue condizioni si rincorrono, lui si confessa via facebook, cerca di tranquillizzare i suoi fans. Due milioni e mezzo contati sul web e chissà quanti nel mondo reale. Intanto qui a Venezia un pullman è arrivato da Zocca per il red carpet trasmesso in diretta via satellite in 200 cinema della penisola, già tutti esauriti. Il Blasco sono trent’anni che è sulla cresta con trenta milioni di dischi venduti e il film, a Venezia fuori concorso, arriva come una consacrazione. Ma non come un monumento. Si muove infatti tra diario intimo e ritratto collettivo Questa storia qua. “Vasco si è messo a nudo completamente nelle conversazioni con noi che hanno conservato il sapore della chiacchierata, con lui che biascica, fuma una sigaretta, quella voce che sembra venire da un non luogo”, racconta l’altro regista, Alessandro Paris.
La voce, le sue canzoni e le immagini conservate gelosamente dal clan, dalla gente di Zocca, il paese natìo sull’Appenino Emiliano, in provincia di Modena. Una piccola comunità che sembra voler conservare il segreto della sua ruvida poesia attraverso foto, super8, VHS, spezzoni di radio. “Zocca – spiega Sibylle, figlia di un vecchio amico di Vasco – è il posto dove lui ritorna sempre, quello che ha ispirato tutta la sua musica”. Le fa eco Paris: “La provincia è l’unica possibilità di un’identità italiana vera, a partire da lì ha reinterpretato il rock americano”. “Forse perché Zocca è un paese fuori dal mondo, forse perché eravamo in un posto lontano da tutto e quindi sognavamo… C’era una grande immaginazione che volava”, scrive il Komandante. E pare che si sia commosso vedendo finalmente finito il progetto. Un progetto di cui ha seguito, come raccontano i produttori Francesca Cima e Nicola Giuliano, tutte le fasi.
Ma non ha posto veti. Neanche sulla tossicodipendenza. “Mi sono rotta le palle di sentire questo discorso – sbotta Sibylle – ci sono dipendenze peggiori rispetto alla cocaina, la depressione colpisce il 20% della popolazione. E’ vero, Vasco ha vissuto fino ai limiti, ma non ne ha mai fatto mistero e ha sacrificato se stesso per difendere le sue scelte”. Del resto il film ha uno dei momenti più forti e veri proprio nel ricordo di Massimo Riva, il chitarrista, grande amico e co-autore, stroncato da un’overdose nel ’99. Un lutto che pesa sul percorso del rocker emiliano, come pesa il macigno della morte del padre, che faceva il camionista. Fa effetto vedere Vasco in concerto a Trieste, la città dove un ictus stroncò suo padre, che non trattiene le lacrime.
Ma alla fine e prima di tutto ci sono le canzoni, da Anima fragile a Sally, da Bollicine a Vivere… “Le canzoni hanno un ruolo narrativo, scandiscono le tappe della sua vita, per questo ne abbiamo scelte alcune e tenuto fuori altre”, dice Paris. E poi c’è la sua voce, quella voce che ti emoziona “anche leggendo l’elenco del telefono”.
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