Franco Zeffirelli per l’arte, Gian Franco Corsi per l’anagrafe, nasceva il 12 febbraio di un secolo fa a Firenze, era il 1923, città che gli ha dato i natali sì, ma di cui è sempre parso portar dentro di sé un’eredità genetica propria dell’arte: nei film e nei capolavori di Zeffirelli si respira spesso la magnificenza propria delle arti che rendono un’eccezione il capoluogo toscano.
Franco Nero, attore ma soprattutto amico personale di Franco Zeffirelli, suo interprete ne Il giovane Toscanini (1988), ricorda e racconta l’autore e la persona, il senso della creatività, la memoria del set e aneddoti di vita vissuta.
Signor Nero, per Zeffirelli c’è stato un concetto che ha attraversato la sua esistenza di essere umano e di artista: ‘la bellezza’. Lei, dove la rintraccia nella persona e nell’arte del Maestro?
La bellezza è sempre una bellissima cosa da guardare, fa bene agli occhi: può essere bellezza di opere d’arte, di costumi di scena, ma anche degli attori, dei cantanti, la bellezza fa sognare. Quando noi eravamo ragazzi sognavamo le attrici e gli attori del grande schermo, che erano davvero belli, non come oggi purtroppo…, al 90% non esiste la vera bellezza. Questa, dunque, è sempre stata una sua caratteristica, e altrettanto io l’ho sempre pensata così: noi dobbiamo far sognare. La bellezza corrisponde al sogno.
Un altro tema ricorrente, nella vita come nell’arte di Zeffirelli, è quello della fanciullezza, della giovinezza: nei film, da Un tè con Mussolini a Il giovane Toscanini, che avete girato insieme. Il non staccarsi dal concetto dell’infanzia, come ha caratterizzato l’opera e l’uomo?
È qualcosa che Franco ha sempre sentito, molto. Ha cercato di metterla a frutto nei film, nelle sue opere: d’altronde, diceva Giovanni Pascoli, che nell’uomo c’è lo spirito del fanciullino e l’uomo è un vero uomo finché questo spirito rimane in lui, se lo spirito l’abbandona non è più tale; e, anche su questo, sono molto d’accordo con lui.
Un altro rapporto strettissimo è stato con l’arte dell’Opera, che ha celebrato anche al cinema, in Callas Forever o proprio nel film che la vede interprete, appunto: tra l’altro Zeffirelli aveva conosciuto Toscanini.
Per questo film mi era stato chiesto di fare il cameo del padre di Arturo, e l’ho accettato molto volentieri proprio per Franco, per un altro forse non l’avrei fatto, ma per lui sì; e così non solo io, anche Elisabeth Taylor, Philippe Noiret, grossi nomi, hanno accettato delle partecipazioni proprio per il rispetto e la stima per lui.
C’è qualche aneddoto che ricorda connesso al film?
Le scene di cui sono interprete io le abbiamo girate in Tunisia, per due o tre giorni: non ricordo di aneddoti lì specifici ma diversi altri sì, perché con Franco ho sempre avuto un bel rapporto: ricordo che molti anni fa lui era a Los Angeles, dove girava Il campione (1979), con Jon Voight e Faye Danaway, e io dovevo arrivare lì per Il pirata di Harold Robbins; lui stava in un bellissimo appartamento al Beverly Comstock Hotel, Wilshire Blvd, e lo chiamai per un consiglio su dove soggiornare, dovendo restare per qualche mese, e mi disse: ‘tu vieni a stare qui, nell’appartamento in cui sto io, che mi sto trasferendo in una villa a Beverly Hills’, con una signora che gli faceva da mangiare, con cui mia madre – con la quale arrivai lì – si incontrava spesso: ricordo che nel fine settimana andavamo a mangiare da lui. Per cui ho preso l’appartamento stupendo suggerito da Franco, con una bellissima piscina comune: con me c’era anche mio figlio, che aveva 7/8 anni pressappoco, e quando scendevamo lì spesso c’era Jon Voight, il protagonista del film di Franco appunto, con la sua bambina, che era Angelina Jolie, e i bambini giocavano insieme. Oppure, quando ho co-prodotto un docufilm su Dante, Il mistero di Dante (2014), dunque in un periodo di vecchiaia per lui, gli ho chiesto un’intervista, e lui ha accettato subito, non ci ha pensato un attimo. Franco era un grande generoso.
Sia Franco Zeffirelli, che lei, siete stati sempre – purtroppo – considerati dal cinema italiano come ‘stranieri in Patria’.
Esattamente! Spesso ripetevamo a noi stessi come fossimo molto più considerati in tutto il mondo che in Italia, c’è sempre stato un qualcosa… per cui non c’è mai stata una grande considerazione, come invece ovunque all’estero.
Cosa non capiva o infastidiva il sistema del nostro cinema di due punte di diamante come voi?
Forse non appartenevamo ai ‘piccoli clan’ che si sono sempre creati nel cinema, se uno non fa parte di una certa… ‘mafietta’, cosa che non vorrei dire ma… insomma qualcosa del genere, è fuori dal sistema. Infatti, alla fine, in Italia, sono sempre stati gli stessi a essere venerati, a ricevere offerte di lavoro in continuazione: la mia fortuna, come quella di Franco, è stata di avere richieste da tutto il mondo, negli ultimi trent’anni della mia carriera il 90% del mio lavoro è stato all’estero, praticamente così è stato sempre anche per Franco. Ci incontravamo, infatti, al Metropolitan di New York, dove invitava me e mia moglie Vanessa (Redgrave) a vedere le prove, o a Londra: diverse volte ci siamo incontrati in giro per il mondo.
Dello Zeffirelli regista, quali erano le qualità che possedeva rispetto alla direzione degli attori?
Zeffirelli amava gli attori! E amava gli attori belli. Era un maestro della recitazione, sapeva far recitare bene tutti.
Qual è l’eredità lasciata all’arte, e all’arte del cinema, da Franco Zeffirelli?
Lui rimarrà sempre perché lascia delle opere incredibili che non moriranno mai, sono tutti dei piccoli capolavori, da Romeo e Giulietta (1968) a La bisbetica domata (1976), a Storia di una capinera (1993), lavori incredibili che rimarranno sempre; sono molto felice di essere inoltre stato a Firenze, invitato da Caterina D’Amico, per l’inaugurazione del Museo Zeffirelli. Franco, insomma, è stato in grado di cogliere e mettere in opera l’eternità: i suoi film, anche Fratello Sole, Sorella Luna (1972), sono dei classici, quindi non saranno mai dimenticati.
Citando Fratello Sole, Sorella Luna, rintraccia uno specifico senso di spiritualità in Zeffirelli?
Di certo era profondissima. Con Gesù di Nazareth (1977), o appunto con il film su San Francesco, ha dimostrato che fossero opere di grande spiritualità, era qualcosa di innato in lui.
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