“Abbiamo scommesso sulla rovina di questo paese e abbiamo vinto”. Con questa lapidaria sentenza di morte per un’intera comunità si chiude Il capitale umano, il nuovo film di Paolo Virzì, una ‘commedia’ dis-umana, amara e caustica che fa riflettere (senza impartire lezioni). Per capire l’Italia di oggi, l’Italia dei soldi facili e dei padri che tradiscono i figli, il regista livornese ha dovuto guardare lontano. Al romanzo dell’americano Stephen Amidon (lo trovate tra gli Oscar Mondadori) che racconta la relazione pericolosa e improbabile tra un immobiliarista di mezza tacca che aspira a fare il botto e un lupo della finanza che tenta di ingigantire la sua già cospicua fortuna puntando sulla crisi. Attorno a loro una moglie alto borghese che ha rinunciato alle sue ambizioni teatrali per una vita agiata e vuota, una psicologa giudiziosa e di buoni sentimenti ma che sembra ignorare tutto quello che le accade accanto, un rampollo viziato e alcolizzato, una ragazza ribelle e ferita… Dal Connecticut alla Brianza, la vicenda intreccia i destini di tutti questi personaggi raccontando la stessa storia da vari punti di vista, a partire da un incidente d’auto in cui un povero cristo in bicicletta viene investito nella notte gelida, a pochi giorni dal Natale.
Riscritta magistralmente da Virzì con Francesco Bruni e Francesco Piccolo la storia, che ha accenti di giallo e di cui gli autori chiedono di non rivelare i risvolti, acquista una credibilità totale e inconsueta per il cinema italiano anche grazie al lavoro degli attori: Fabrizio Gifuni e Valeria Bruni Tedeschi sono i ricchi, Valeria Golino e Fabrizio Bentivoglio la coppia piccolo borghese, Matilde Gioli e Guglielmo Pinelli, insieme a Giovanni Anzaldo, i figli, le giovani vittime (ma mai del tutto innocenti) di questo gioco al massacro.
Racconta Virzì: “Amo molto Amidon, un autore che ha uno sguardo sulla società alla De Lillo, e il suo romanzo mi ha dato modo di far emergere alcune questioni che riguardano questo paese non attraverso dei proclami, senza l’enfasi di un discorso apocalittico sul nostro tempo. Mentre seguiamo la traccia del thriller – cosa è successo quella notte a quel ciclista? – indaghiamo su cosa c’è dietro i comportamenti di queste persone. La speranza di soldi facili attraverso la finanza tossica, l’atteggiamento competitivo e i suoi effetti sui giovani”. Per lo scrittore, che è appena stato in giuria al Torino Film Festival, è stato stupefacente veder tornare sullo schermo una storia che alla sua origine era ispirata al cinema. “Amo questo film, anche se la sua struttura è molto diversa da quella di un libro già di per sé complesso, che ho impiegato quattro anni di lavoro a mettere insieme e che mi ha prosciugato”, racconta.
Virzì lo considera un film meticcio. “Sicuramente avevo in mente modelli che vengono da un altrove. Non so se sia ‘americano’, so che la Brianza per me è un paesaggio esotico e minaccioso, che non avevo mai affrontato al cinema. Mi sono sentito come Ang Lee quando girava Tempesta di ghiaccio. So che qui c’è in parte l’humour nero di certi narratori ebrei americani, qualcosa di Chabrol, volevo creare un allarme nello spettatore che è un allarme sui nostri tempi. Ero alla ricerca di un tono, sicuramente diverso dagli altri miei film, volevo esplorare qualcosa d’altro rispetto alla commedia italiana”. Valeria Bruni Tedeschi insiste sulla solitudine del suo personaggio, la borghese Carla Bernaschi che per un attimo si illude di poter riaprire il teatro Politeama di Como, ormai cadente e in abbandono, appetito da chi vorrebbe trasformarlo in una banca o in un condominio. Ma Carla, con i suoi pii desideri, è costretta a piegarsi al freddo calcolo del marito: “I sogni, su cui aveva messo un coperchio, tornano a tormentarla ed è crudele perché siamo crudeli quando ci sentiamo annegare”, spiega l’attrice. Luigi Lo Cascio è l’intellettuale che lei chiama a dirigere il “suo” teatro e che poi abbandona come un giocattolo rotto. “Non è certo un eroe, ha anche lui i suoi lati oscuri – dice l’attore palermitano – ma per questa donna è un capriccio, il sogno di entrare in contatto con la cultura. Le intersezioni tra mondo dell’arte e potere economico sono spesso sghembe e precarie”. E se per Bentivoglio “c’è un capitale disumano” ma chi lo vive non se ne rende conto perché non sa di essere un mostro, Virzì spiega il bellissimo titolo: “Viene dal linguaggio delle compagnie assicurative che danno all’esistenza di ciascuno di noi un valore che nasce da un preciso algoritmo: quanto guadagni, che aspettativa di vita hai, quali e quante sono le tue relazioni significative. È quello che ci dà il cartellino del prezzo”.
Il capitale umano uscirà il 9 gennaio con 01 in 350 schermi.
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