BARI – “In questi ultimi anni mi sono successe tante cose, tra queste la malattia dolorosa di mio papà, scomparso all’inizio di quest’anno, che in un primo periodo aveva anche degli aspetti molto buffi a causa del suo smarrimento: scambiava luoghi e persone. Poi nulla è stato più buffo, ma quella fase mi ha ispirato questa storia”. Ha uno spunto autobiografico Tutto quello che vuoi, terzo film da regista del navigato sceneggiatore Francesco Bruni, che è stato accolto trionfalmente al Bif&st, dove il pubblico del Teatro Petruzzelli ha sommerso di applausi lui e i suoi protagonisti: Giuliano Montaldo e il giovane esordiente Andrea Carpenzano.
In uscita l’11 maggio con 01 Distribution, Tutto quello che vuoi accosta con grazia, umorismo e dolcezza la saggezza svagata di un anziano poeta (Montaldo) all’irruenza giovanile di Alessandro (Carpenzano), trasteverino ignorante e fumantino. I due, che sembrano venuti da pianeti diversi pur abitando a pochi passi di distanza nel cuore di Roma, si trovano a condividere delle passeggiate pomeridiane quando il padre di Alessandro gli impone di lavorare per allontanarlo dai guai. L’incontro farà riaffiorare nel poeta memorie di una vita lontanissima nel passato, lampi di guerra e di romanticismo, e schiuderà al ragazzo un orizzonte di curiosità verso una storia che prima arrivava a conoscere solo consultando lo smartphone. “Accanto alla vicenda di mio padre – ha raccontato poi Bruni – c’è stata la scoperta di Trastevere. Mi sono trasferito lì, con affaccio su viale Glorioso, tra il Gianicolo e Piazza San Cosimato, ho imparato a conoscere un mondo affascinante di bingedrinking, di impicci e piccolo spaccio. Infine il romanzo di Cosimo Calamini Poco più di niente mi ha offerto gli elementi narrativi che mi permettevano di mettere insieme il racconto”.
La magica alchimia tra il poeta smarrito e il giovane sbandato è la forza di Tutto quello che vuoi, che ha anche il merito di far emergere il talento e la presenza scenica di Andrea Carpenzano, scelto grazie a uno streetcasting che ha premiato la sua spavalderia. Ormai lanciato verso una carriera cinematografica, Carpenzano ha fatto capolino con un piccolo (ma incisivo) ruolo anche ne Il permesso – 48 ore fuori di Claudio Amendola; qui oscilla tra la comunità e i luoghi del Cinema America e la sua piccola comitiva di nullafacenti professionisti, tra i viaggi nel tempo nella “casa-museo” del poeta e il road movie alla ricerca di un fantomatico tesoro nascosto dalla Storia. La bella novità del film sta poi nell’aver fatto dialogare due generazioni apparentemente così lontane: “In realtà gli adolescenti hanno una grande empatia per i loro nonni – spiega Bruni – Di questo ho la prova empirica in mio figlio, che ha una grande comunicazione con i nonni. In quel rapporto viene meno l’elemento conflittuale che i ragazzi hanno con la mia generazione, quella dei genitori, e forse questo ce lo siamo meritati: non siamo stati un gran modello”.
In un film così legato alla sua storia personale – che rimanda anche all’esperienza di suo padre quando, da adolescente a Pisa, scappò con i militari americani per tre mesi – Bruni ha voluto accanto il figlio Arturo, che insieme a Emanuele Propizio e Riccardo Vitiello fa banda con Alessandro, e la compagna attrice Raffaella Lebboroni, vicina di casa e “tutrice” del poeta. “Conosco Francesco da tanto tempo – ha commentato Montaldo – visto che abbiamo insegnato insieme al Centro Sperimentale. Un giorno è venuto a casa e mi ha raccontato questa storia, commuovendosi. Quando mi ha chiesto di esserne il protagonista ho sobbalzato: fino a quel momento avevo fatto solo delle piccole partecipazioni da attore nei film di amici. D’accordo con la mia sposa, collaboratrice e padrona ho deciso di accettare e sul set ho trovato un’atmosfera straordinaria. Andrea è stato accanto a me anche fuori dal set”. Dal canto suo Carpenzano, che si dichiara “meticcio, venendo da San Giovanni e Piramide”, spiega che le comitive di ragazzi sono davvero così: “Non fanno nulla tutto il giorno, come me prima del film. Io ero così e infatti mi annoiavo. Soprattutto a Roma, i miei coetanei hanno paura di annoiarsi, a me invece è sempre piaciuto”.
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