“C’era più dì un motivo per decidere di produrre Po. Il primo è che pone l’accento sul problema climatico, ancor oggi punto nodale dell’agenda politica mondiale”.
Così Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà, sul film documentario di Andrea Segre e Gian Antonio Stella, in uscita nazionale il 29 marzo nelle sale con una prima-evento al cinema Quattro Fontane di Roma, alla presenza degli autori e che racconta la tragica alluvione del Polesine, uno degli eventi maggiormente impressi, ancora a 70 anni di distanza, nella memoria collettiva del paese, grazie anche alle immagini che allora realizzò l’Istituto Luce. Immagini che oggi Segre e Stella intessono con le testimonianze vivide dei ‘giovani’ testimoni dell’epoca, unendo con commovente efficacia racconto di memoria e riflessione sul presente.
Prosegue Sbarigia: ‘Il secondo motivo è che in opere come Po il patrimonio d’immagini custodito dall’Archivio Luce trova il suo senso più profondo: non deposito inerte della memoria collettiva, ma materiale vivo e sempre attuale, anche alla luce della tragica crisi umanitaria provocata dal conflitto in Ucraina.Prodotto da Luce Cinecittà, con un importante lavoro dell’Archivio Luce che ha permesso agli autori la riscoperta, il restauro e la restituzione smagliante dei filmati, mostrandoli al pubblico come realmente inediti, Po arriva nelle sale distribuito da ZaLab, dopo un’anteprima dal tutto esaurito a Rovigo.
Racconta Andrea Segre: ‘C’è una cosa che sapevo, di cui sono contento per questa prima a Roma, e una cosa che non sapevo, che non potevo immaginare. Una cosa che sapevo per questa prima romana, era la possibilità di portare sul grande schermo, nelle sale, archivi cinematografici e immagini realizzate proprio per il grande schermo, perché le riprese di quel tragico evento, conservate dall’Archivio Luce, erano fatte per i cinegiornali, fatte per la sala. Aver potuto lavorare su quelle immagini dal punto di visto cinematografico, poterle portare all’anteprima di Rovigo e oggi a Roma e nelle sale italiane mi fa profondamente contento. La cosa che non sapevo, che non potevo immaginare, è che questa uscita del film coincidesse con un momento in cui nel cuore di un’emergenza umanitaria siamo chiamati ad accogliere migliaia di profughi della guerra ucraina. E questa è una storia di quando i profughi siamo stati noi . Questo rapporto con una memoria di noi in fuga, per una tragedia, di un pezzo molto povero della nostra società come era il Polesine, in un momento in cui il tema della fuga e dell’accoglienza è così vivo e drammatico, è occasione – ancorché tragica – di riflessione. Una riflessione a cui tengo molto, al di là della crisi di adesso: quella del rapporto con l’altro. E il rapporto con l’altro parte molto dalla memoria di se stessi, anche di quei pezzi di memoria che teniamo nascosti nei cassetti. E che invece adesso abbiamo fatto uscire dagli archivi per farlo entrare in sala’.
Segre racconta anche specificamente del suo rapporto con l’Archivio e di come nasce il film:” L’idea di base era proprio valorizzare l’Archivio, il film ci è stato commissionato per quello, e quindi abbiamo dato fondo ai materiali in maniera approfondita. Con lo staff coordinato da Nathalie Giacobino abbiamo cercato di trovare non solo più materiale possibile, ma di renderlo nella maniera migliore: a Rovigo mi hanno chiesto dove avessi trovato tante immagini inedite. Ma oltre alla ricerca dettagliata c’è stata anche la volontà di rendere a queste immagini una dignità narrative e centrale da un punto di vista filmico, perché volevamo riportare l’archivio in sala laddove alcune immagini si erano viste soltanto nei servizi giornalistici per la tv”.
Al racconto dell’alluvione si associa una vera e propria indagine umana ed etnografica, attraverso le interviste a coloro che l’evento lo hanno vissuto. “Naturalmente, con gli archivi puoi adottare un approccio didattico, con qualcuno che ‘spiega’ le immagini, ma il dialogo è meno banale se i personaggi assumono un valore umano, e per andare al cinema non volevamo usare una modalità troppo didascalica, ma più poetica. Dovevamo raccontare un mondo e abbiamo trovato chi poteva farlo nel Polesine e anche in Piemonte, dove c’è una grossa comunità di polesani che si è formata proprio a seguito dell’alluvione. Volevamo che raccontassero un pezzo di identità”.
E come nella più classica tradizione della commedia all’italiana, quando si raccontal’umanità può scapparci anche il sorriso, pure se si parla di tragedie: “A Rovigo il pubblico in sala ha riso e questo mi ha colpito e fatto piacere – continua Segre – una bella risata energica e comunitaria, anche quando magari ti raccontano che nella miseria dovevano arrangiarsi e mangiare la testa di un animale morto. Ma se chi lo racconta sorride per primo, tu ridi dietro a lui. Siamo in un momento storico difficilissimo, nel dopoguerra l’Italia ha avuto la forza e l’energia per ridere delle sue sciagure, oggi forse manca, ma probabilmente è presto, ci siamo ancora dentro”.
Paradossalmente, oggi che esce il film, il Po sta attraversando un terribile periodo di secca: “Quando siamo andati a girare non c’erano secche ma mi raccontavano di un rapporto complesso tra l’uomo e il fiume, data la sua difficile navigabilità. Le condizioni climatiche non sono favorevoli e c’è questa alternanza tra piena e siccità che rende tutto più complicato. Il fiume fa male sia quando si gonfia che quando scompare. Raccontiamo anche questo e oltre alla sala, che è l’ambiente per cui lo abbiamo pensato, con il suo ritmo e i suoi racconti, stiamo ragionando anche su un percorso scolastico”.
Dopo l’anteprima di Rovigo e la prima romana PO inizia un tour di teniture e proiezioni speciali, tra cui quella del 7 aprile in selezione ufficiale allo storico Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario.
Per chi fosse interessato a organizzare una proiezione: distribuzione@zalab.org
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