Sono passati 40 anni, il ragazzo prodigio Nanni Moretti ha già alle spalle tre film e il suo alter-ego Michele (Apicella) è già pronto a diventare un mito per i trentenni degli anni ‘80. Ma questa volta, per la prima volta, l’antieroe di Moretti esce dalla sua confort zone e si veste dei panni di un personaggio a tutto tondo, lontano dallo sfacciato autobiografismo delle opere precedenti. Bianca che ebbe la sua prima proiezione a Bologna il 23 febbraio 1984 è un caso pressoché unico nella filmografia del regista per diverse ragioni e racconta di un autore che sperimenta strade nuove, alla ricerca di una completezza espressiva che non ne tradisca le radici.
La prima caratteristica singolare del film risiede nella struttura produttiva di Bianca: Nanni lascia i compagni di viaggio precedenti (Mario Gallo, Renzo Rossellini) e si affida a un navigatore esperto nel bosco di Cinecittà e dintorni, Achille Manzotti, uno che ha lavorato con l’alto e il basso del nostro cinema, con Ferreri e Corbucci, Comencini e la premiata ditta Castellano&Pipolo. Insieme faranno anche il successivo La Messa è finita (1985), ma la vera sorpresa è che Manzotti porta Moretti a Rete Italia, ovvero da Silvio Berlusconi in quello che sarà l’unico incontro “artistico” tra i due. Risultato commerciale non disprezzabile: il film conquista un onesto 26mo posto al box office nazionale dell’anno, meglio di Gorky Park con William Hurt e All’ultimo respiro con Richard Gere. Non sarà un caso che in vetta alla hit parade quell’anno ci sia Flashdance con Jennifer Beals, destinata a ritrovare Nanni sul set di “Caro diario”.
La seconda novità è che il regista/attore/sceneggiatore si affida a Sandro Petraglia per costruire la singolare vicenda del professor Michele Apicella, in servizio presso la scuola Marilyn Monroe. Petraglia convince Moretti a introdurre una tonalità inedita nel suo spartito: il giallo. Tutto ruota infatti intorno all’indagine di un commissario di polizia (Roberto Vezzosi) incaricato di trovare il serial killer che si accanisce sugli ignari vicini di casa del professore. Michele è un giovane insegnante di matematica affetto da mille tic e nevrosi, ossessivo collezionista di scarpe e comportamenti umani che annota in un personalissimo archivio. Il riferimento esplicito è a La finestra sul cortile di Hitchcock e come James Stewart in quel film, anche Michele Apicella si trasforma in un accanito voyeur della vita privata altrui. La sua Grace Kelly è proprio Bianca (Laura Morante), una collega di scuola che però presto vorrà lasciare perché “non abituato alla felicità” e timoroso di qualsiasi cosa che alteri la sua routine solitaria e compulsiva (celebre la sua bulimia notturna, nudo dietro un gigantesco vaso di Nutella).
Rispetto ai lavori precedenti, l’antieroe Michele si stacca presto dal suo stereotipo per diventare – pirandellianamente – un protagonista a sé stante, un malato dello sguardo, un osservatore solipsista che non accetta la fragilità umana in nome di un rigore morale senza cedimenti. Per chi si era innamorato dell’Autarchico insofferente e del misogino universitario di Ecce Bombo, le differenze sono moltissime anche se ritornano fobie, insofferenze, richiami all’etica che troveranno senso nel resto dell’opera di Moretti. Il punto di contatto con i film precedenti è invece la scuola Marilyn Monroe, tempio di un’insensatezza post-sessantottina con la foto di Dino Zoff al posto di quella del presidente della Repubblica, i biliardini e i flipper per gli studenti, la vaghezza programmatica delle lezioni. Bianca è un film profondo e maturo che concede al pubblico i siparietti comici del miglior Nanni, ma comincia a mordere in profondità le contraddizioni della società di cui Michele è intransigente censore, una società basata sempre di più sull’edonismo plateale degli anni ’80.
C’è una terza particolarità che rende indimenticabile questo film: l’irruzione della musica come tema-guida che rivela sentimenti e situazioni, una sorta di controcanto sonoro ai personaggi. Non si parla tanto della colonna sonora del fido Franco Piersanti, quanto delle canzoni – spesso ben note al pubblico – che Moretti utilizzerà quasi sempre anche in seguito. Insieme a te non ci sto più di Caterina Caselli (composta dall’amato Gino Paoli che è presente anche con Il cielo in una stanza), Dieci ragazze di Lucio Battisti, Scalo a Grado di Franco Battiato sottolineano altrettanti momenti “forti” della sceneggiatura. Chi si aspetterebbe dal severo Nanni la voglia di mettersi in scena come cantante dilettante? Ma se uno – poco dopo – chiamerà Sacher la sua casa di produzione e il suo cinema, si legge facilmente qui una personalità che non teme di usare tutti gli strumenti popolari per costruire una propria mitologia al servizio di un’idea che va comunicata con il linguaggio della sua generazione, provocazioni comprese.
Senza Bianca (e il successivo La messa è finita) il ritratto dell’artista Moretti non sarebbe completo ed è forse un peccato che di rado in seguito abbia sentito il desiderio di toccare le stesse corde e di usare gli strumenti del genere, il metodo della sceneggiatura di ferro, l’atipicità del racconto. Ma non si può chiudere questo viaggio nel ricordo senza accennare a un altro tabù che l’autore sceglie di infrangere: la sua vera/presunta misoginia. A cominciare dal titolo, nell’universo di Nanni entrano – a partire da Bianca – le donne. Non sono più ragazzine sbandate che “fanno cose, vedono gente”; sono protagoniste del reale, figure forti a cui si può cedere il passo, portatrici di valori antichi, ma capaci di leggere nel futuro. Potranno essere fragili e forti come Margherita Buy o Laura Morante, ragazze del futuro come Jasmine Trinca e Sonia Vigliar ne La stanza del figlio o eroine del passato come Giulia Lazzarini in Mia madre, ma diventeranno comunque una presenza costante nei racconti di Nanni adulto. E non sembra impossibile che proprio a partire da Bianca il regista abbia affidato a loro una speranza per un mondo diverso, ancora possibile.
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