Un western in piena regola ambientato nella Gallura di metà Ottocento e recitato in lingua sarda (con indispensabili sottotitoli). Stiamo parlando dell’opera prima di Matteo Fresi, Il muto di Gallura, prodotta da Domenico Procacci con Rai Cinema e Fondazione Sardegna Film Commission, distribuita da Fandango dal 31 marzo.
Ispirato a un romanzo del 1884, scritto da Enrico Costa sulla scorta di una storia vera divenuta leggendaria, racconta la faida tra due famiglie, i Vasa e i Mamia, che lasciò sul campo 70 vittime in meno di una decina d’anni, tra cui anche donne e bambini, senza esclusione di colpi e slealtà e sotto gli occhi del parroco – l’unico in grado di interferire in qualche modo – e delle guardie piemontesi, del tutto impotenti.
“La Gallura di metà Ottocento – spiega Fresi – era una terra di frontiera. Da poco sotto il controllo dei Savoia, mal sopportava le regole imposte da uno Stato di cui faticava persino a comprendere la lingua. La società gallurese aveva le proprie regole a cui non era disposta a rinunciare: l’arcaico codice della vendetta, amministrato dai ragionanti e dai pacieri. In questo scontro di culture la Chiesa cattolica era l’unico strumento di controllo esterno che risultasse efficace e insieme allo Stato procedeva per tentativi, spesso maldestri, per arginare l’ondata di terrore innescata dalla faida tra le famiglie Vasa e Mamia. Il parroco, infatti, era sì uno straniero, ma la sua autorità era più facile da accettare in una società che andava ridefinendosi”.
Protagonista di questa vicenda romanzesca è Bastiano Tansu (Andrea Arcangeli), sordomuto dalla nascita, marchiato come frutto del demonio in quella cultura arcaica, emarginato dalla gente del villaggio, infine temuto da tutti per la sua mira invincibile, il “muto di Gallura”, appunto. Dopo l’uccisione di suo fratello, il ragazzo, fino ad allora isolato e considerato vittima di un sortilegio, imbraccia il fucile e semina la morte. Se ne separerà solo per amore, un amore contrastato verso una giovane contadina (Syama Rayner). Ma lo stigma di creatura del demonio lo perseguita ovunque e non sarà facile poter raggiungere la vagheggiata Corsica, terra di libertà.
Racconta Fresi, che ha scritto la sceneggiatura con Carlo Orlando: “Da sardo-piemontese – mio papà è di Luogosanto in Gallura – ho sempre sentito raccontare la vicenda del muto, che si muove tra Storia e leggenda. Una vicenda che mi è rimasta appiccicata addosso, così quando ho letto il romanzo di Costa, l’ho trovato molto moderno, anzi contemporaneo. Ho pensato che si poteva portare al cinema in maniera efficace”.
Andrea Arcangeli (Il divin codino, Romulus), che interpreta il muto, aggiunge: “Mi piaceva l’idea che questa non fosse la storia di un assassino ma piuttosto di un emarginato. All’epoca un bambino nato sordo cresceva isolato in un mondo mentalmente chiuso e brutale. Bastiano è un reietto della società e l’assassinio diventa la sua unica ragione di vita”. Mentre sulla sfida recitativa di non poter usare le parole, riflette: “Non volevo accentuare niente per evitare di fare una macchietta. Quindi sono andato in sottrazione, il mio personaggio parla con gli occhi. Mi hanno aiutato i ragazzi dell’Istituto per sordi di Roma e la consapevolezza che nella Sardegna di fine Ottocento non si parlava neanche la lingua dei segni”.
E sulla scelta del genere: “Il western – precisa Fresi – è uno degli ingredienti, presente nell’estetica e ricordato anche dalle musiche, che usano pure l’elettronica, ma la struttura del racconto è vicina alla tragedia greca. Non volevo una storia etnografica o museale e per fare arrivare una vicenda antica ai giorni nostri bisognava reinventarla un po’. Così ad esempio sui costumi ci siamo allontanati dalla tradizione per evitare scelte che potevano rasentare il ridicolo”.
Nel cast anche Marco Bullitta, Giovanni Carroni, Aldo Ottobrino, Fulvio Accogli, Nicola Pannelli, Andrea Carroni, Fiorenzo Mattu.
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