“Ricordatevi che il marito è il capofamiglia. Egli porta il pane a casa e il suo sudore è come l’acqua santa. Va accudito e benedetto tutti i giorni, non dovete avere occhi né sorrisi né attenzioni per nessun altro uomo”.
È don Antonio, il parroco di uno sperduto paesino di montagna calabrese, a rivolgersi così alle ragazze che si apprestano a sposarsi, in una delle prime scene de Il mio posto è qui, il film di Cristiano Bortone e Daniela Porto, tratto dal suo romanzo omonimo appena pubblicato da Sperling & Kupfer.
Dopo il successo al Bif&st 2024 dove si è aggiudicato il Premio Giuliano Montaldo alla Miglior Regia e il Premio Mariangela Melato alla Miglior Attrice Protagonista, il film è stato proiettato in anteprima a Roma e Milano.
Siamo negli anni ’40, il secondo conflitto mondiale è appena finito, ma se una parte della società italiana guarda al futuro, per Marta (Ludovica Martino), ragazza-madre nel posto e nel momento sbagliato, il futuro è già scritto. Definire patriarcale la sottocultura della Locride di quel tempo, infatti, è solo un eufemismo: lei è “la zitella”, la “vergogna” della sua famiglia, “la puttana”, come la chiama perfino suo padre, che pensa bene di combinarle un matrimonio con un contadino vedovo della zona più vecchio di lei, con gran sollievo – ebbene sì – anche di sua madre. Marta, che la felicità del vero amore l’ha conosciuta e se l’è vista strappare dalla guerra che tutto uccide in ogni luogo e in ogni tempo, accetta con occhi persi nel nulla, sapendo di non avere altra scelta.
Ma se il diavolo fa le pentole, non sempre ha successo con i coperchi. E anche a Marta, che non è affatto indenne dai peggiori pregiudizi omofobi del luogo in cui è nata e cresciuta, la vita riserva una sorpresa: l’incontro con Lorenzo (Marco Leonardi) il gay del posto, “l’organizzatore dei matrimoni” disprezzato da tutti per la sua omosessualità. I due sono diversi per estrazione culturale, ruolo sociale e identità, e vivono dolorosamente sulla loro pelle il momento storico di totale cambiamento. Tra loro, però, dopo il primo scetticismo di lei, nasce un’amicizia sincera e profonda, che porterà la giovane ad aprire lo sguardo e a sfidare regole e tabù della sua comunità, lottando (e pagando caro) per emanciparsene, raggiungere la libertà come essere umano, madre e donna. Grazie a Lorenzo, poi, Marta entra in contatto con la folta comunità gay clandestina, attraverso la quale comincia a prendere coscienza dei suoi diritti.
Le riprese, che spaziano tra Gerace (RC), storico borgo della Locride, e la Puglia, attraversano paesaggi dai colori antichi e selvaggi, che restituiscono allo spettatore un’estrema autenticità. Il film, in stretto dialetto calabrese con sottotitoli in italiano, ha infatti un taglio volutamente realistico e dipinge le atmosfere più cupe della storia culturale del mezzogiorno italiano, che a tratti, più che al secolo scorso, farebbe pensare al medioevo.
La struttura di Il mio posto è qui è decisamente narrativa, ma lontana da qualsiasi approccio televisivo e dagli stereotipi edulcorati del sud. Piuttosto, fedele alle immagini originali della campagna meridionale del dopoguerra, ne ripropone l’estrema e arcaica povertà. In contrasto a tutto ciò spiccano gli elementi iconici, come la macchina da scrivere di Marta, simbolo della sua sete di cultura e di riscatto, e la motocicletta di Lorenzo, che fa respirare ossigeno e libertà non solo ai due protagonisti, ma anche allo spettatore.
Il mio posto è qui, prodotto da Orisa Produzioni in co-produzione con Goldkind Filmproduktion (Germania), con il sostegno della Fondazione Calabria Film Commission, Apulia Film Commission e della Regione Lazio, Fondo Lazio Cinema International, POR-FESR 2014-2020, arriverà nei cinema italiani dal prossimo 9 maggio.
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