Il lungo viaggio di Forrest Gump, 30 anni per il capolavoro di Zemeckis

Tra i fantastici 15 film che quest'anno compiono un anniversario speciale c'è anche il cult del 1994 con protagonista Tom Hanks


È ben strano il destino di Forrest Gump, film simbolo di una generazione, trionfatore all’Oscar con 6 statuette nelle categorie maggiori, capolavoro di Robert Zemeckis, di Tom Hanks  e della CGI (Computer-Generated Imagery) senza il cui apporto non sarebbe mai nato. Costruito intorno a un personaggio immaginario che sta tra l’Idiota di Dostoevskij e il Candide di Voltaire, è stato preso ovunque per una storia vera tanto da introdurre il nome nel vocabolario sportivo comune come esempio del campione per caso. Interpretato come “una metafora della nostalgia glamourizzata, in quanto rappresentava una tabula rasa su cui la generazione dei Baby Boomer proiettava i propri ricordi della recente storia americana”, è stato usato a più riprese dalla politica, sia democratica che repubblicana, come modello dei “veri valori americani”.

Accettato dal pubblico di tutto il mondo come un fenomeno popolare (al tempo incassò quasi 680 milioni di dollari su un costo di appena 55 nonostante effetti speciali all’avanguardia) è riuscito a superare ogni lettura ideologica sicché Forrest è un po’ l’Aragorn dei nostri tempi, piace a destra e sinistra per l’universalità serena del suo sottotesto ideologico racchiuso nella misteriosa apparizione di una piuma a inizio e fine della storia. “Il nostro destino – ha provato a sintetizzarne così il significato Tom Hanks – è definito solo dal modo in cui affrontiamo gli elementi casuali della nostra vita e questo è un po’ l’incarnazione della piuma. Ecco questa cosa che può atterrare ovunque e che atterra ai vostri piedi. Ha implicazioni teologiche e umane davvero enormi”.

Sul piano strettamente cinefilo così lo definiva il guru della critica Roger Ebert: “una commedia, credo, o forse un dramma o un sogno” e “un atto di equilibrio mozzafiato tra commedia e tristezza, in una storia ricca di grandi risate e verità silenziose”. Nonostante questo, a distanza di 30 anni dall’uscita, crea ancora divisioni, tanto che i giornalisti di Hollywood Reporter sostengono che in quell’anno Shawshank Redemption (Le ali della libertà) di Frank Darabont sarebbe stato il più giusto vincitore dell’Oscar e per Entertainment Weekly il film è “scialbo, superficiale e monotono; riduce il tumulto degli ultimi decenni a un parco a tema in realtà virtuale: una versione per baby-boomer dell’America di Disney”. Chi mise tutti d’accordo fin da principio fu invece l’incredibile colonna sonora, autentico campionario del variare emozionale di tre generazioni, con i Doors autentici mattatori e un leggendario trionfo negli ascolti che dura ancora oggi.

Tratto da un romanzo di Winston Groom del 1986, le prime stesure della sceneggiatura approdarono senza successo sulle scrivanie dei maggiori studi di Hollywood finché Sheryl Lansing di Paramount diede il via alla produzione scambiando i 500.000 dollari pagati a Groom per l’adattamento con i diritti di Decisione critica con Kurt Russell e Steven Seagal: un buon affare. Intanto la stesura del copione era stata affidata a Eric Roth, capace di virare il testo su quella malinconica dolcezza e saggio ottimismo che colpì il pubblico e che avvicina l’ingenuo Forrest al Chance Giardiniere di Oltre il giardino (Hal Hasby, 1986). Le riprese cominciarono il 27 agosto del ’93 e costrinsero la troupe a errare tra Georgia, California, Carolina, Utah e Arizona un po’come accade al personaggio nella sua interminabile maratona che, grazie alla CGI, approda anche a Washington, Vietnam, Cina.

La prima a inviti di cui si festeggiò la fine del viaggio fu fissata a Los Angeles il 23 giugno del ’94 quando ancora pochi scommettevano sulle fortune di una storia simile dopo Rain Man e quando ancora Bill Murray, Chevy Chase e soprattutto John Travolta non si mangiavano le mani per aver rifiutato il ruolo (Travolta preferì Pulp Fiction -a ragione- anche se si è sempre dichiarato pentito di aver mancato Forrest Gump) e Hanks arrivò alla prima fresco dell’Oscar per Philadelphia.

Fece invece scalpore la folla di personaggi noti che vennero in forma virtuale – sullo schermo – grazie ai miracoli degli effetti speciali: tre presidenti (Kennedy, Johnson, Nixon), un giovanissimo Elvis Presley, il governatore segregazionista dell’Alabama George Wallace, il rivoluzionario Abbie Hoffman, John Lennon ai tempi di Imagine, mentre sugli schermi televisivi Gump è testimone di tutti i fatti salienti della recente storia americana, dallo sbarco sulla Luna al Vietnam, dal Watergate all’attentato a Reagan e all’ombra dell’Aids, probabile causa della morte di Jenny, il grande amore che fa da contrappeso realistico all’apparente svagatezza di Forrest.

Questo esercizio di memoria collettiva è senz’altro l’ordito su cui è costruita la sceneggiatura, ma nel ricordo del film sono soprattutto impresse le tappe dell’interminabile attraversata dell’America che il protagonista rievoca ai vicini alla fermata dell’autobus: due volte da un oceano all’altro, partendo da casa sua a Savannah in Georgia per arrivare  fino alla fine della strada, poi della città, poi dell’Alabama. Corre quindi fino all’oceano Pacifico e poi indietro fino a quello Atlantico, fermandosi solo per mangiare, dormire e andare in bagno. L’avventura di Forrest suscita l’attenzione mediatica. La gente lo prende come esempio e guida, anche se lui ammette di non capire esattamente quale sia il motivo per cui corre, se non la voglia di farlo. Dopo più di tre anni Forrest si ferma, dicendo semplicemente di essere stanco, e torna a casa. Il tutto condito da battute entrate presto nel lessico comune: “Mamma diceva sempre: la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”, “Stupido è chi lo stupido fa!”, “Sono un po’ stanchino. Credo che tornerò a casa ora”, “”Io non sono un uomo intelligente, ma so cosa significa amore”.

Groom aveva nutrito il suo personaggio di dati reali, tratti dalla storia del Sud (il personaggio si chiama Forrest come un eroe della guerra di Secessione, Nathan Bedford Forrest, fondatore del Ku Klux Klan e sua madre glielo spiega dicendo “qualche volta facciamo tutti delle cose che, ecco, che non hanno tanto senso”). Ma soprattutto da amici e conoscenze come Louis Michael Figueroa che attraversò gli Stati Uniti, partendo dal New Jersey fino alla California per una scommessa benefica (ne se trova eco nell’inglese “Appuntamento a Land’s End” del 2021 e in “L’imprevedibile viaggio di Harold Fry” di Hettie McDonald, 2023); nel tenente dei marines Sammy Lee Davis premiato con la medaglia al valore dopo il Vietnam, nel pescatore e naturalista del Mississippi Jimbo Meador trasformato in Bubba, il commilitone col sogno di comprare un peschereccio per gamberi che farà poi la fortuna di Gump. Lo scrittore aveva anche ricevuto la promessa di un Forrest & Co. dalla produzione, ma il progetto si trascinò inutilmente per anni finché dopo le Torri Gemelle finì definitivamente nel cestino. Le cose andarono molto meglio a Tom Hanks che accettò il ruolo in cambio di una partecipazione agli utili (ebbe un assegno di 40 milioni di dollari) e dell’utilizzazione di suo fratello Jim per sostituirlo in molte sequenze della sua maratona.

Una curiosità: nel ruolo di Forrest bambino debuttava Haley Joel Osment, poi protagonista de Il sesto senso e A.I.. L’influenza culturale del film è così universale che in India si è girato il remake ufficiale con Aamir Khan protagonista e l’originale è finito in parodia ne I Simpson: meglio di un altro Oscar per la camminata più lunga del cinema americano.

16 Giugno 2024

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