Un titolo “elettrizzante”, Radioactive, che contiene l’essenza scientifica – la scoperta di Radio e Polonio, della radioattività – e di spirito di Maria Salomea Sklodowska (Varsavia, 1867), brillantissima studentessa polacca – laurea in Fisica e Matematica, poi cattedra alla Sorbonne (la prima donna), e due Premi Nobel: 1903 per la Fisica, 1911 per la Chimica – che ha vissuto nel nome di una passione sconfinata per la Materia, intrisa di un’emancipazione ante litteram, e con la perenne complicità personale e scientifica di Pierre Curie (Sam Riley), sodale di ricerca e di vita, con lei genitore di Ève e Irene.
Una storia, quella di Radioactive, triplamente femminile: protagonista è Marie Curie, ma a raccontarla, dapprima nell’omonimo romanzo a fumetti, è stata Lauren Redniss (libro disponibile dal 7 luglio edito da Rizzoli Lizzard), da cui l’autrice iraniana naturalizzata francese, Marjane Satrapi – come naturalizzata d’Oltralpe è stata la stessa Curie – ha adattato il film, non in forma animata, ma live.
Satrapi, dopo 12 anni dal suo folgorante e sempreverde esordio con Persepolis (2007), firma la sua quinta regia, a distanza di cinque anni dall’ultima opera, The Voices (2014), e sceglie ancora lo spunto della narrazione a fumetto e il racconto biografico, dimostrando, anche con questo film, di essere a proprio agio con il trattamento e l’interpretazione del racconto grafico, seppur qui trasposto dal vivo, e nel maneggiare “le vite”, infatti Radioactive è un biopic, che comincia a Parigi nel 1934, anno della scomparsa della fisica Curie, e dal letto da cui, di lì a poco, la terra le sarà lieve: uno stato, quello dell’ultimo passo della vita, che permette a Marie Curie – sullo schermo Rosamund Pike (Gone Girl, A private war) – un pensiero a ritroso sulla propria esistenza, non solo un vissuto personalissimo, ma un esempio di progresso e eterne eredità e gratitudine ad una donna che ha usato la propria fervidissima intelligenza per un dono all’intera umanità.
Marjane Satrapi – pur mettendo in scena l’aereo americano della bomba su Hiroshima del ‘45, un bambino malato di cancro e trattato con radioterapia nella Cleveland del ’57, le esercitazioni nucleari nel deserto del Nevada nel ’61 e l’incidente della centrale di Černobyl’ nel 1986 – sceglie il nucleo più intimo e femminile della biografia di Marie Curie per il suo film: da un episodio dell’infanzia polacca, maneggia con consapevolezza il profilo femminile dentro la sfera avvolgente e soffocante della società prettamente al maschile, tema famigliare per l’autrice, che però non si marmorizza nel solo contenuto ma fa anche una scelta estetica, espressa con un uso suggestivo della luce – “polverosa” e/o chiaroscurale – e di effetti speciali, componendo così una visione di rottura visiva e cromatica, necessarie a far disquisire sull’etica della scienza.
Il film è stato presentato lo scorso settembre al Toronto International Film Festival: distribuito da Eagle Pictures, dal 15 luglio sarà disponibile per quattro settimane sulle principali piattaforme VOD, oltre che – per altrettanto tempo – su Sky, Timvision, Chili, Google Play, YouTube, Rakuten, Huawei Video e Infinity.
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