CANNES – Il mestiere di fotoreporter come dipendenza, la necessità di tornare nelle zone di guerra, in particolare l’Irak con l’immenso tributo di sofferenze e morti tra i civili, che tiene la fotografa di talento Isabelle (Isabelle Huppert) costantemente lontana dalla sua famiglia, cioè il marito (Gabriel Byrne) e i due figli, è al centro di Louder than Bombs (Segreti di famiglia) del quarantenne regista norvegese Joaquim Trier, alla sua prima prova girata in lingua inglese dopo Oslo, 31 agosto che passò a Cannes nel 2011 con successo. Un film realizzato con capitali norvegesi, danesi e francesi, che per l’Italia è targato Teodora e uscirà il 23 giugno dopo essere stato due anni fa in concorso a Cannes. La storia è raccontata a ritroso e con diversi salti temporali: Isabelle è morta da tre anni in un drammatico incidente d’auto – la sua macchina ha fatto un frontale contro un camion – dopo aver deciso di ritirarsi a vita privata in seguito alle insistenze del partner. In realtà soffriva di depressione, ma il figlio più piccolo Conrad (il bravo Devin Druin) ignora tutto ciò. Però adesso, in occasione di una grande mostra dedicata alla sua figura e ai suoi reportage sulle vittime civili in Iraq, sta per uscire sul ‘New York Times’ un articolo scritto dall’amico e collega Richard (David Strathairn) che metterà a nudo tutta la verità. E ne frattempo è tornato a casa il figlio maggiore Jonah (Jesse Eisenberg) appena diventato papà ma non troppo convinto.
La comunicazione tra i personaggi è bloccata e specialmente il figlio adolescente è chiuso a riccio in se stesso, vive di videogiochi, ama in silenzio una compagna di classe che neanche lo guarda, e ce l’ha con il padre. Mentre quello più grande, benché professionalmente realizzato e padre a sua volta, fugge dal coinvolgimento. Infine il genitore, pur responsabile e preoccupato per i figli, nasconde una relazione con una collega (sono entrambi professori nel liceo dove studia Conrad).
Su tutto aleggia il fantasma di Isabelle, al centro dei ricordi e delle fantasie dei tre maschi, che guardano e riguardano video e foto. Un ruolo lusinghiero per Isabelle Huppert. L’attrice francese racconta di aver ‘conosciuto Trier al festival di Stoccolma e di averlo apprezzato per Oslo, 31 agosto. “E’ un grande regista nella messa in scena, farà strada. Sono onorata di aver fatto questo film”, dice. Oltre alla storia – l’idea che il lavoro possa diventare paradossalmente un rifugio – è stato l’impianto produttivo a interessarla, “una produzione europea, francese, danese, norvegese, mentre abbiamo girato a New York con attori sia europei che americani. Un’esperienza che non capita spesso”.
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