BERLINO – In un festival più che mai attento quest’anno alle tematiche femminili ecco in concorso, dalla Germania, un film sull’aborto che solo una donna avrebbe potuto realizzare con tanta delicatezza pur se con un linguaggio semplice, accessibile a tutti, a tratti televisivo. 24 Wochen (24 settimane) racconta infatti del terribile dilemma di una madre che scopre di portare in grembo un bambino gravemente malato. Oltre alla sindrome di Down ha una serissima malformazione cardiaca che lo costringerà a subire una serie di difficili operazioni chirurgiche, la prima delle quali a pochi giorni di vita. Astrid è una comica di successo, superimpegnata tra tournée e apparizioni tv, il marito Markus, che è anche il suo manager, l’ha sempre sostenuta e la ama teneramente: insieme hanno già una bambina di 9 anni e sono felicissimi della nascita di un fratellino. Tanto che alla notizia dell’anomalia cromosomica decidono di portare avanti la gravidanza nonostante le perplessità di parenti e amici. Ma la convinzione di Astrid comincia a vacillare, il suo essere un personaggio pubblico, senza privacy, rende tutto più complicato e in definitiva si rende conto che lei sola può fare la scelta. Spiega la regista Anne Zohra Barrached – già autrice di Two Mothers: “Descrivo il conflitto di una donna messa di fronte a una situazione estrema: deve scegliere la vita o la morte del bambino che porta in grembo. Il film non è pro o contro l’aborto, semplicemente mostra una condizione in cui è inevitabile una scelta forte, non si può scegliere di non scegliere”. 24 Wochen ci mostra tutta la tragica, dolorosa durezza dell’aborto terapeutico, con la precisa descrizione della procedura che corrisponde in effetti a un parto pilotato ma si conclude con una iniezione letale per il feto. “Nel film – dice ancora Anne Zohra Berrached – mescolo realtà e finzione. Il personaggio della cabarettista Astrid, interpretato da Julia Jentsch, è inventato, ma il suo destino e ciò che deve attraversare non lo è. In Germania è possibile abortire un figlio affetto da un grave handicap o da una malattia seria anche poco prima del parto. L’ho letto tre anni fa su una rivista e da allora ho cominciato a fare delle ricerche. Il 90% delle donne tedesche scelgono l’interruzione dopo la 12ma settimana in presenza di una diagnosi del genere. Il fato, con le tecnologie avanzate di diagnosi prenatale, è diventato una questione legale, etica e filosofica”. Che ovviamente coinvolge aspetti delicatissimi che possono sfiorare l’eugenetica. Chissà se 24 Wochen troverà un distributore italiano dato l’argomento. Julia Jentsch avrebbe potuto portare ai padroni di casa un premio per l’interpretazione: se non che l’ha già vinto nel 2005 con La rosa bianca Sophie Scholl.
Un altro ritratto femminile, in tutt’altra epoca e contesto, è quello della poetessa americana Emily Dickinson nel film di Berlinale Special A quiet passion, nuova opera del grande autore britannico Terence Davis (da poco omaggiato al Torino Film Festival, dove aveva portato il precedente Sunset Song). “Emily Dickinson – dice il cineasta che ha affidato il ruolo a Cynthia Nixon – ha avuto una fama postuma e penso che questo sia ingiusto. Non so come i grandi artisti possano sopportarlo. Emily merita di essere applaudita per sempre”. A quiet passion racconta la storia di Emily, vissuta nella prima metà dell’Ottocento senza mai uscire dalla natia Amherst nel Massachusetts, anzi senza mai lasciare la casa paterna, partendo dalla giovinezza. E soffermandosi in particolare sulla relazione con il pastore Charles Wadsworth che si trasferirà poi a San Francisco gettandola nella disperazione e contribuendo ancor più al suo proverbiale isolamento. “Ho scoperto la poesia di Emily Dickinson quando avevo 18 anni – dice ancora Davies – ma preparando il film ho capito di più della sua vita. E’ vero che ha vissuto da reclusa, ma è riuscita a vivere una vita incredibilmente ricca e piena restando nella sua casa”. Nel cast anche Keith Carradine nel ruolo del padre.
Le date della prossima edizione del festival che chiude con un bilancio positivo con 337.000 biglietti venduti
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''La FICE - dice il presidente - è orgogliosa di sottolineare che le 47 sale che hanno messo in programmazione il film in questi giorni sono sale d'essai. Con l'auspicio che presto il numero di queste sale possa aumentare non possiamo non dire che ancora una volta le sale d'essai danno un contributo fondamentale per far conoscere i migliori e più premiati film del nostro cinema''
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