Un sottomarino francese deve affrontare un momento di crisi. Il comandante Grandchamp, il vice D’Orsi e Chanteraide, esperto di sistemi acustici, uniscono le forze per tentare di risolvere il caso ma uno strano suono mette Chanteraide in condizione di disobbedire agli ordini dei superiori. Dopo la presentazione ai Rendez-Vous, festival del cinema francese, esce il 13 giugno con Adler Entertainment Wolf Call – Minaccia in alto mare, intenso e convincente thriller autoriale, del genere ‘sottomarino’, scritto e diretto da Antonin Baudry. Se il filone è assai popolare negli Usa, da Caccia a ottobre rosso a U-571, è inusuale avere a che fare con un vero e proprio kolossal francese, interpretato da attori di grosso calibro del cinema d’oltralpe come Omar Sy, Mathieu Kassovitz, Francois Civil, Paula Beer e Reda Kateb.
“Ci sono tre tipi di uomini: i vivi, i morti e coloro che vanno per mare”, recita una tagline del film (in realtà una citazione aristotelica) e su questi temi abbiamo brevemente intervistato il regista a Roma: “Amo i film d’azione e d’avventura- dice- non solo americani ma di tutto il mondo. Ne guardo tantissimi, me ne sono nutrito a livello internazionale. Quando mi sono messo sul mio film ovviamente non ho pensato che dovesse sembrare un film francese o altro, ho solo pensato a fare il film che mi piaceva. E quando ho l’universo dei sottomarini, è partita l’idea. Ho avuto mille ispirazioni, ogni film che vedo mi nutre, mi ispiro ai film su Jason Bourne come a quelli di John Cassavetes, anche se si trovano agli opposti. Siamo tutti influenzati dalle immagini che ci hanno segnato, ma io ho avuto l’opportunità speciale di lavorare sulla realtà, perché su un sottomarino in acqua ci sono stato davvero. Ci sono scene che non ho mai visto negli altri film sui sottomarini che sono nate in questo modo. Anche per questo non mi sono voluto ispirare ad altri film di sottomarini, per evitare i cliché. Quindi ho semplicemente stilizzato la realtà. La mia esperienza diplomatica mi ha dato la conoscenza di molti meccanismi che muovono il mondo, permettendomi di lavorare sulla struttura del film, e inoltre ero preparato al lavoro su immagini per via dell’esperienza nel fumetto. Cinema e fumetto sono linguaggi simili ma molto diversi, nel fumetto si è più liberi, puoi mostrare quello che vuoi e lavorare sui tempi in maniera molto malleabile, quindi la regia e la scenografia sono più difficili in un film ma anche molto appassionanti. A dirla tutta avevo pensato proprio di fare un fumetto su questa storia, ma l’aspetto “sonoro” della vicenda era troppo importante, quindi ho convertito la necessità al media. Mi sono reso conto di non poter escludere questo aspetto quando mi sono trovato nella sala di comandi del sottomarino. Tutti mi dicevano che non si poteva fare questo film in Europa, ma io dicevo sempre ‘perché non si può?’, proviamo. Sapevo che se avessero visto le immagini sarebbero rimasti tutti convinti. Ho scritto tutto senza censure o edulcorazioni e ho mandato il progetto in giro, finché non ho avuto la fortuna di finire sul tavolo di Jerome Seydoux, produttore di Pathé. Ci siamo trovati d’accordo nel voler produrre un film diverso, che permetteva al pubblico di immergersi e sognare come raramente fanno i film francesi. Ma non ho usato storyboard, li ho fatti solo in un secondo momento per gestire le scene d’azione, per il resto ero io a mimare ogni azione sul set. Penso che sia un film per tutti, ai giovani, agli adulti, può essere visto come un film di puro intrattenimento, con molto ritmo e che non annoia, ma anche di riflessione su temi importanti, come il pericolo nucleare e la difesa. Ci salverà la politica, la diplomazia? Chi può dirlo? E si tratta anche di una vicenda di esseri umani che devono prendere decisioni importanti in uno specifico momento. Come in una moderna tragedia greca”.
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