VENEZIA – “Un film non deve necessariamente poggiarsi su immagini e dialoghi, anche i suoni sono importantissimi. Di solito il sound design è una conseguenza della storia e della parte visiva, nel caso di Labour of Love è il contrario”. Al suo primo lungometraggio, il regista indiano Aditya Vikram Sengupta ha puntato su una struttura narrativa estrema e coraggiosa che esclude le parole ed esalta l’ambiente sonoro per raccontare attraverso una delicata e sfuggente storia d’amore la gravissima crisi economica che colpì il suo Paese nel 2009. Ritwick Chakraborty e Basabdutta Chatterjee, interpreti di Labour of Love, sono infatti protagonisti assoluti e solitari ciascuno di metà del film, che racconta una giornata di questa coppia innamorata ma costretta a non incontrarsi mai perché legata a turni di lavoro incompatibili.
Nella loro casa vuota, ma riempita dai rumori esterni (i martelli pneumatici di un cantiere o le proteste di strada dei disoccupati) compiono gesti lenti e affettuosi; lei cucina anche per lui, lui ricuce il bottone di lei, in attesa di quell’unico, breve momento di incontro della giornata in cui scambiarsi effusioni. “Nel 2009 ho avuto tanti amici che hanno perso il lavoro, c’è stata un’ondata di licenziamenti e una fortissima pressione sui lavoratori data dalla recessione – ha sottolineato il regista – con il film volevo raccontare questa piaga sociale tramite l’amore condiviso da una coppia, un sentimento che li aiuta a superare l’avversità serenamente”.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre