I ragazzi di Giffoni: una generazione sottovalutata


GiffoniParlano di cinema con cognizione, sanno far emozionare star avvezze a flash e fotografi ma impreparate al loro entusiasmo, fanno domande non banali e non vedono solo quei film confezionati ad hoc per una generazione in preda agli ormoni. Sono molto meno materialisti e superficiali di quello che si vuole far credere, gli adolescenti della giuria di Giffoni e riflettono la speranza di una generazione non completamente assuefatta a format televisivi e bisogni preconfezionati.

Tanto che il film più premiato di questa edizione, vincitore della categoria “Generator +16” come miglior film, premio della giuria e premio speciale del sito My Movies, è una pellicola che affronta il tema shock del suicidio, My Suicide. Un film che, spiegano i ragazzi, è “una critica perfetta della nostra società e dell’influenza che ha sul singolo, ma anche uno specchio del caos che vive costantemente la psiche adolescenziale”. Perché il suicidio durante quell’età, ammettono con schiettezza e senza alcun perbenismo, ha il suo fascino. Ed è importante parlarne per spiegare che l’inquietudine, o la solitudine, può trovare uno sfogo differente dalla morte fisica o morale. Il film, realizzato a basso budget dal regista americano David Lee Miller, racconta la storia di un diciassettenne genio dei media, che dopo aver annunciato il suo imminente suicidio davanti alla telecamera, diventa improvvisamente il ragazzo più popolare della scuola. Nel cast David Carradine alla sua ultima interpretazione. L’attore, trovato impiccato in Thailandia in circostanze tuttora misteriose, per ironia della sorte è il “poeta della morte” che consiglia al ragazzo di uccidere soltanto le parti di se stesso che non gli piacciono, senza togliersi la vita.

E anche i più piccoli hanno scelto un film a tema tutt’altro che banale: la storia di un bambino disabile, figlio di genitori benestanti, che da cocco di casa d’un tratto, dopo la nascita del fratellino, viene segregato in camera per evitare al nuovo arrivato ogni imbarazzo. Vincitore sia del premio della giuria che di quello del pubblico, A Time to Love dell’iraniano Ebrahim Forouzesh, parla con coraggio dell’imbarazzo che l’handicap costituisce nella nostra società, che ha fatto della presunta perfezione estetica un valore etico. Una lezione sulla diversità che ha emozionato i giurati di “Elements +10”, che l’hanno preferito anche a film che parlavano di amicizia e prime cotte.

E quando rispondono al sondaggio su quale sia per loro il tabù più invalicabile – tema portante di questa edizione del festival – a fronte di attori che hanno risposto “la nudità” o “la vecchiaia”, per loro è la difficoltà ad essere se stessi il muro da superare. Potersi esprimere liberamente e senza timori di venire giudicati sbagliati, in una società cui si è costretti ad adeguarsi. E l’appuntamento per festeggiare i quaranta anni di un festival che è anche una scommessa, è dal 12 al 24 luglio 2010.

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27 Luglio 2009

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