Un dipinto può diventare l’ossessione di una vita? Sì, se parliamo della Salita al Calvario di Pieter Bruegel (1564). Una tela che ha ipnotizzato intere generazioni e ha suggerito al regista polacco Lech Majewski un singolare film, I colori della Passione, che il 30 marzo esce nelle sale con CGHV. Realizzata combinando varie tecniche digitali e di computer grafica, la pellicola è quasi un saggio di critica e infatti prende ispirazione dal volume dello storico dell’arte Michael Francis Gibson, The Mill and the Cross. Gibson vide un film precedente di Majewski, Angelus, fu colpito dalla sensibilità pittorica del suo sguardo e gli fece avere copia di questo saggio in cui sviscerava il quadro del maestro fiammingo conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Un quadro di fronte a cui, curiosamente, anche l’autore polacco aveva passato molto tempo, quando da adolescente appassionato d’arte e poesia si fermava qualche ora a Vienna, in attesa del treno notturno per Venezia. “Con l’arte ho sempre avuto un rapporto privilegiato, col mio cinema preferisco occuparmi di un artista piuttosto che di un gangster: come è accaduto con la sceneggiatura su Basquiat che ho scritto per Julian Schnabel, o con The Garden of Earthly Delights sul famoso dipinto di Hieronimus Bosch“, spiega il cineasta. Che ricorda con particolare entusiasmo la visita di Federico Fellini alla scuola di cinema di Lodz, da lui frequentata: “Mi augurò buona fortuna e mi strinse la mano, ma non feci in tempo a dirgli che la grande pittura mi evocava la stessa reazione del suo cinema, ci vedevo le facce, le idiosincrasie, il modo di rappresentare la vita di Giorgione o Bruegel”.
I colori della Passione, che tra l’altro utilizza alcuni fondali dipinti dallo stesso Majewski, riesce a trovare un sorprendente equilibrio tra l’aspetto filosofico e quello narrativo. La presenza di tre attori celebri come Rutger Hauer (nel ruolo di Bruegel), Charlotte Rampling (Maria) e Michael York (il collezionista d’arte) non oscura la tessitura d’insieme che tende a creare affascinanti e spesso silenziosi tableaux vivants espandendo le presenze del quadro per mostrarcene le umane e semplici vicende, cariche però di simbolismo, come quel mulino arroccato in cima a una rupe che suggerisce la presenza di Dio stesso a osservare lo svolgersi degli eventi e lo scorrere inesorabile del tempo terreno. Contemporaneamente Majewski ridà vita allo scenario sociale e politico sottinteso dall’opera, ovvero la ribellione delle Fiandre – dove si erano diffuse le idee calviniste – contro l’Inquisizione spagnola e i suoi feroci metodi di repressione. Il Cristo crocifisso diviene così un “riformato” punito dagli invasori. Tuttavia è la vita quotidiana a prendere il sopravvento sulla macrostoria: la famiglia del mugnaio, il venditore di pane, la giovane madre che allatta, gli amanti, ma anche l’eretico dato in pasto ai corvi e i discorsi politici del collezionista… “Uno degli aspetti più sorprendenti della visione di Bruegel è che i grandi eventi sono sempre nascosti nella routine quotidiana, i personaggi principali non sono mai i protagonisti del quadro, anzi spesso sono addirittura celati e quasi invisibili”. Questa filosofia Majewski l’ha applicata anche a un suo lavoro teatrale su Edipo: “Ho messo in primo piano la folla di Tebe afflitta dalla pestilenza, mentre il personaggio di Edipo restava sullo sfondo”.
I colori della Passione, che ha ispirato anche un progetto di videoarte esposto alla Biennale di Venezia nel 2011, ha avuto un successo in parte inatteso in tutto il mondo dopo l’anteprima al Sundance. Acquistato in 54 paesi, è stato applaudito ovunque, da Israele al Giappone, dal Sudafrica all’India. Adesso è arrivata anche l’Italia grazie alla Cecchi Gori HV, società che lavora nel settore dell’home entertainment (ha rilevato la nutrita library Cecchi Gori) ma in qualche caso distribuisce nelle sale opere mirate.
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