VENEZIA – Un film a episodi che è anche un omaggio allo spaghetti western e al cinema italiano degli anni ’60 e ’70 con doverosa citazione di Sergio Leone nelle parole dei due autori, Joel e Ethan Coen, quattro premi Oscar al loro attivo. Che tornano a Venezia, in concorso, con The Ballad of Buster Scruggs, a dieci anni da Burn After Reading. Si tratta di un film a cui lavorano da un sacco di tempo – ben 25 anni – e che è una vera e propria antologia di racconti brevi uniti dall’ambientazione di frontiera e con un cast molto ricco che comprende Liam Neeson, Brendan Gleeson, Tyne Daly, Tom Waits, Zoe Kazan e Tim Blake Nelson, quest’ultimo nei panni di Buster Scruggs, il personaggio eponimo che apre, intonando una ballata, il florilegio – tenuto insieme da un libro illustrato vecchio stampo da sfogliare alla scoperta di tante situazioni buffe e assurde.
Quasi una storia del genere western. Alla scoperta del quale i due autori legano anche un episodio della loro infanzia: “Io avevo 11 anni – dice Joel – e Ethan 8, volevamo andare in un cinema di Minneapolis che proiettava un western, Invito a una sparatoria, ma ci portarono dal direttore della sala perché pensavano che avessimo marinato la scuola, invece quel giorno era una festa ebraica e la scuola era chiusa”.
I sei racconti – scritti nel corso degli anni – sono incentrati su un cow boy canterino e svelto di pistola (ma non abbastanza), un rapinatore di banche due volte sfigato, un impresario itinerante piuttosto avido che porta nei villaggi un attore senza braccia né gambe, un anziano cercatore d’oro che non si guarda abbastanza le spalle, una ragazza ingenua che rimane sola dopo la morte del fratello in una carovana diretta verso il Nebraska e un gruppo di viaggiatori mal assortiti – tra cui due cacciatori di taglie – che disquisiscono di etica a bordo di una diligenza diretta non si sa dove. Dall’ironia lieve delle short story iniziali il clima si fa sempre più cupo e meditativo, e ogni volta ci scappa il morto.
A proposito del film a episodi, genere oggi ben poco di moda, Ethan precisa: “Ci piacciono i film italiani degli anni ’60 e ’70 come Boccaccio 70 che abbiamo visto in tv e che è firmato da autori come Monicelli e Visconti”. Tra le tante citazioni ce n’è anche una riservata a Per un pugno di dollari, con la comparsa della cittadina di Tucumcari. Joel racconta che c’era l’idea iniziale di fare dei film brevi, per la tv, “ma poi ci siamo resi conto che, anche se sono diversi per atmosfera e per argomento, hanno qualcosa in comune, e abbiamo pensato di metterli insieme”. La destinazione adesso è la sala, in Italia a novembre, anche se a produrre è Netflix, onnipresente in questo festival. “Il film sarà visto cosi com’è a prescindere dalla destinazione sul piccolo o grande schermo e da chi l’ha finanziato. Tutte le decisioni estetiche sono state prese prima dell’arrivo di Netflix – spiega Joel – ma più in generale voglio dire che Netflix fa film fuori dal mainstream e questo è molto importante. Più ne fa e meglio è per l’industria del cinema”.
Ogni episodio ha un suo tono e c’è anche, come si diceva, il fantasma dello spaghetti western, caro anche a Tarantino, nel racconto del rapinatore destinato alla forca – ma per un reato che non ha commesso – interpretato da James Franco. E sulla successione delle storie: “Avevamo un’idea molto chiara sull’ordine in cui metterle, l’istinto ci ha guidato in una sorta di progressione emotiva”. I due autori escludono invece una parentela con il loro precedente Il grinta (2010): “Non lo considero un western – dice Joel – anche se in qualche modo forse lo è”.
Presenti a Venezia anche tre degli interpreti: Bill Heck, Tim Blake Nelson e Harry Melling. Tutti d’accordo nel lodare lo stile del film e lo sguardo dei suoi autori.
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