I castelli in aria di Mr. Night


M. Night Shyamalan, i suoi ammiratori lo sanno bene, ama le sfide. Salito alla ribalta, dopo un paio di lavori di rodaggio, con la spaventosa e struggente ghost-story Il sesto senso, ha sempre cercato di differenziare l’una dall’altra le pellicole della propria produzione, evitando sentieri già battuti e assumendosi il rischio di sbagliare, con conseguente alternanza di imprese riuscite (Unbreakeble – Il predestinato) ed episodi decisamente meno brillanti (Lady in the water).

Le sue storie sono però sempre state accomunate da una certa “snellezza” narrativa, quella che nel teatro aristotelico si traduceva nell’unità di tempo, di luogo e d’azione. Racconti brevi e concettualmente decisi, personaggi fortemente delineati, preferibilmente pochi, messi in scena con parsimonia e comunque con ordine, spesso funzionalmente a una “sorpresa finale” – quella de Il senso senso ha fatto storia – che stravolge, in maniera radicale, quanto fin lì acquisito.

L’ultimo dominatore dell’aria è completamente diverso. Ampio, complesso, maestosamente corale, si accosta per immaginario e struttura alle grandi saghe fantasy come Guerre Stellari o Il Signore degli Anelli, tanto che, come traspare in maniera evidente dal finale “mozzo”, si presenta come l’episodio iniziale di quella che dovrebbe diventare una nuova trilogia epica.
“Dovrebbe”. D’obbligo il condizionale, perché in USA il film, pur reggendo bene al botteghino, è stato oggetto di aspre e insistenti critiche da parte della stampa e del pubblico, in parte per l’effetto 3D, aggiunto in post produzione e non molto convincente – peccato, perché fotografia e scenari, tra i castelli incastonati nella roccia e le lande ghiacciate della Groenlandia, sono affascinanti – in parte per il consueto pregiudizio che vuole ogni trasposizione mai pari alla resa dell’originale.
Il film è infatti tratto da un popolare cartoon per cui le figlie del regista di origini indiane andavano tanto pazze da riuscire convincerlo a farne una pellicola “live action”.

Partiamo dall’inizio. La serie Avatar – La leggenda di Aang (nulla a che vedere con James Cameron, e proprio per evitare confusione il termine “equivoco” è stato rimosso dal titolo della versione cinematografica) è un prodotto amatissimo e certamente particolare. In primo luogo per la sua natura ibrida: sembra un anime giapponese, ma è interamente pensato e realizzato in America. Il sincretismo si evince anche dalla trama: in un mondo fantastico abitato da esseri umani, animali fantastici e creature soprannaturali, l’umanità è divisa in quattro nazioni, corrispondenti agli elementi naturali: Acqua, Aria, Terra, Fuoco. In ciascuno di questi paesi esistono uomini e donne chiamati “dominatori” che, attraverso una coreografica mélange di arti marziali e misticismo, possono controllare l’elemento cardine della propria nazione. In ogni generazione nasce però una persona che ha i numeri per dominarli tutti e quattro: l’Avatar, che ha il compito di mantenere l’equilibrio e l’ordine nel mondo. Nell’arco di tempo in cui il film si svolge, l’Avatar è il giovane Aang, della nazione dell’Aria, che però, spaventato dalla sua responsabilità, fugge dal tempio in cui è stato cresciuto e addestrato, e si ritrova ben presto sepolto sotto ai ghiacci, in stato d’ibernazione. Lo risvegliano per caso, un secolo dopo, due ragazzi, fratello e sorella, appartenenti alla nazione dell’Acqua. In corso c’è una grave crisi che prelude a una guerra e Aang dovrà accettare il suo ruolo e imparare a gestire i suoi poteri, per poter assolvere il compito per cui è nato.

Lasciando da parte le critiche, il film riporta il tutto fedelmente, trasponendo in maniera filologicamente corretta la porzione di trama coperta in tv dalla prima stagione, e sottolineando con gusto divertito tutti i riferimenti al nostro più apprezzato cinema d’intrattenimento. Impossibile, ad esempio, non pensare ad Atreyu e al suo Fortunadrago ne La Storia Infinita ammirando Aang veleggiare tra i venti in sella al suo bisonte volante Appa. Nei panni del protagonista, c’è il piccolo fenomeno delle arti marziali Noah Ringer, Cintura Nera di Taekwondo a soli dieci anni, affiancato, tra gli altri, da Jackson Rathbone e dal “MillionaireDev Patel, negli inediti panni di un cattivo di spessore.

Ad accompagnare l’uscita in sala, il 24 settembre con Universal, arriva l’immancabile videogioco, sviluppato da THQ per Nintendo Wii, che permette con l’uso del magico telecomando Wiimote di replicare gli acrobatici movimenti con cui Aang domina gli elementi. Ne esiste anche una versione “portatile” per Nintendo DS. Per l’occasione, il canale Sky Nickelodon, che già da luglio trasmette il cartoon originale, ha preparato una programmazione esclusiva: una maratona tematica tratta dalla serie, un’anteprima di sei minuti della pellicola in sala e uno speciale per scoprire tutte le curiosità sul dietro le quinte del film. Inoltre, sul sito http://www.nicktv.it/tv/avatar/ si potranno presto rivedere gli episodi delle prime stagioni e scaricare contenuti esclusivi e giochi interattivi.

autore
24 Settembre 2010

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