“Pelo malo è un film sulla violenza che viviamo in Venezuela, tanto forte da essere passata dalla politica alla vita intima, al gesto, allo sguardo. Volevo rappresentare quanto sia grave ogni passo che, nella quotidianità, sommiamo alla mancanza di rispetto dell’altro, a volte per discriminazione di razza, altre per quella sessuale o per differenza politica”. Così la regista venezuelana Mariana Rondon parla del suo terzo lungometraggio, premiato al Torino Film Festival 2013 per la migliore sceneggiatura, per la migliore interpretazione femminile, quella di Samantha Castillo nel ruolo di Marta, nonché vincitore del premio della Scuola Holden e dei lettori de ‘La Stampa’.
Il film, già vincitore della Concha de Oro al Festival del Cinema di San Sebastian e di altri premi al Festival di Mar del Plata, arriverà sugli schermi italiani dal 30 ottobre con Cineclub Internazionale Distribuzione, dopo essere stato presentato qualche giorno fa a Ferrara all’interno del Festival del settimanale “Internazionale”, e oggi a Mantova nell’ambito degli Incontri del cinema d’essai.
Junior, 9 anni, vive con il fratellino e con la giovane madre Marta, vedova e disoccupata, nell’infernale e affollata periferia di Caracas che sembra imprigionare i suoi abitanti. I rapporti fra i due sono tesi e conflittuali, a causa della preoccupazione della madre per l’aspetto del figlio che vorrebbe stirare i capelli, crespi e ribelli, per apparire come un cantante pop alla moda nella foto del suo annuario.
“In America Latina – spiega la regista all’Ansa – ‘pelo malo’ è sinonimo peggiorativo della razza nera. In Venezuela c’è una tale mescolanza di razze, che non è raro trovare un bianco coi capelli ribelli e crespi. I parrucchieri fanno affari d’oro: allisciare i capelli è la seconda fonte di entrate dopo il petrolio”, ironizza.
Junior è talmente ossessionato dal capello liscio che sperimenta tutti i possibili rimedi, dalla maionese all’olio di semi. Più il ragazzino cerca di modellare i capelli e farsi amare dalla madre, più lei rifiuta questo suo comportamento vissuto come capriccio e segno di ambiguità sessuale, sola com’è e impegnata a sfamare i due figli. In un crescendo di tensioni e incomprensioni, il loro rapporto arriva a un punto di rottura, con la determinazione di Marta di cedere il figlio alla nonna paterna, piuttosto che tenerlo con sé e con l’altro figlio piccolo. Sullo sfondo, una città dove la violenza è legge, in cui la vita può essere spezzata in qualunque momento.
“Una delle prime immagini che mi è venuta in mente per questo film è stato un grande edificio plurifamiliare e le migliaia di storie che si svolgono dietro quelle mura – dice la Rondon – il calore, la nudità, la precarietà, fragilità, sensualità, sesso, violenza, famiglia, madre, bambino. I miei personaggi sono inermi. Feriti e dolorosi adulti, e bambini che stanno imparando come far del male”.
Presentando il film in Spagna l’autrice ha ricordato la condizione del Venezuela governato, dopo la morte di Chavez, da Nicolas Maduro: un paese bloccato in una forte polarizzazione politica, con le pressioni degli estremi che riducono lo spazio di incontro. Questo genera un clima di intolleranza nei confronti di chi è diverso e la pensa diversamente.
Alla cineasta venezuelana interessava parlare di personaggi indifesi, che non hanno le risorse per la sopravvivenza emotiva. Così ha iniziato mettendo in discussione l’amore di una madre: “E’ una questione di istinto o è un dovere incondizionato? L’emozione non è dovere”.
Quanto agli interpreti, in particolare il giovanissimo Samuel Lange e Samantha Castillo, la regista spiega che aveva bisogno di “intimità e amicizia tra i due protagonisti, qualcosa che è indispensabile per creare personaggi che vivono nel conflitto e nella. Abbiamo provato molto prima di girare. Abbiamo creato legami, esperienze condivise. Siamo tornati indietro rispetto ai rapporti, cambiandoli, rendendoli più complessi, fino a quando abbiamo trovato una zona di comfort per gli attori; dove, dopo tanta improvvisazione, hanno trovato le loro piccole verità”.
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