Umberto Eco sosteneva che assieme al dizionario Mereghetti dovesse essere venduto un tubetto di arnica. Perché quando lo afferri dalla libreria finisce che ti stiri il braccio. L’osservazione dell’intellettuale italiano era destinata a essere sempre più vera. Oggi, di tubetti ne servirebbero almeno tre. L’edizione 2023 dello storico dizionario firmato dal critico cinematografico Paolo Mereghetti pesa già 4,6 chili, orgogliosamente messi su, grammo dopo grammo, in oltre 30 anni di catalogazione del cinema mondiale. “Fino a questa edizione sono riuscito a resistere”, racconta in occasione di un incontro tenutosi al Bellaria Film Festival 2023, “vedrò se andare avanti, anche perché sennò viene troppo grosso”.
Il Mereghetti è diventato in tre decenni una bussola per i cinefili italiani. Infatti, il pubblico che nel tempo se ne è affezionato, ha imparato a rivolgere lo sguardo alle stelle per decidere i film da vedere. Le stelline, da una a cinque, sono state essenziali per la fortuna del volume, ma sono parte di un’idea, che si completa nelle schede di commento e cerca da sempre la comunicazione più vicina allo spettatore. “Penso che si debba trovare una forma che parli a tutti, senza essere generica né superficiale”. Tra i maestri, cita Goffredo Fofi e Adriano Aprà, ma anche il compianto amico e collega Gianni Volpi: “mi ha insegnato che la critica è mettere in forma chiara e razionale le sensazioni di un film, misurando parole e aggettivi”.
Il dizionario nasce a fine anni ’80. Quando le sempre più numerose TV private iniziano a riempire i palinsesti di titoli sconosciuti, reperiti a poco prezzo in qualche fondo di magazzino. “Serviva una guida”. L’idea, ai tempi dello scroll senza fine sulle piattaforme streaming, risuona quanto mai contemporanea, nonostante il tomo non sia ancora stato digitalizzato e vada fiero, assieme al suo autore, della serendipità che solo il cartaceo può donare. Non è confortante scoprire che anche Mereghetti trascorre ore a decidere cosa vedere su Netflix. “Alla fine l’altra sera ho messo su un film di Germi”. Ancora una volta, niente batte i classici.
Alla sua trentesima edizione, il Dizionario Mereghetti continua a essere un organismo vivente, come l’arte che ha eletto a oggetto di questa catalogazione infinita. “Ogni volta cerchiamo di riempire, senza esclusioni: abbiamo rifatto le schede di Fellini, Mizoguchi, ma anche di Bud Spencer e Terence Hill. Abbiamo cercando di completare le filmografie di registi importanti con alcuni film inediti. Tutte le volte mando una copia al critico e storico Gian Carlo Brunetta e lui mi elenca i film muti del 1912 che ho dimenticato di inserire”.
Qualche film in streaming, una modalità di fruizione poco amata dall’autore, inizia a comparire anche nel Dizionario. Ogni edizione viene a patti con il presente, mentre continua a scavare nelle miniere del passato, dove qualche venatura d’oro sfugge sempre e regala nuove soddisfazioni. “Io sono convinto che il dizionario sia importante”, conclude il critico, “perché servirà sempre capire meglio la cultura, spiegare e smontare il meccanismo della creazione artistica”. Un futuro dizionario per le serie? Non se ne parla, il cinema è ancora “una giungla fitta”. In altre parole, il lavoro non finisce qui.
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