In onda domenica 29 maggio in Speciale TG1 in seconda serata su Rai 1 Hotel Sarajevo di Barbara Cupisti, produzione Clipper Media e Cinecittà con Rai Cinema.
Il doc ripercorre alcune delle vicende cruciali del conflitto nella ex-Jugoslavia, soffermandosi sull’assedio di Sarajevo e la guerra in Bosnia-Erzegovina per raccontare le ferite di una guerra avvenuta nel cuore dell’Europa, dove comunità che avevano fino ad allora convissuto si ritrovarono coinvolte, alternativamente vittime e carnefici, in crimini spietati.
Al centro della narrazione l’Holiday Inn della città, casa dei molti corrispondenti stranieri e troupe al tempo dei primi attacchi.
“Tutti dicevano che la guerra non ci sarebbe stata, e che se ci fosse stata non sarebbe mai arrivata a Sarajevo, e che se fosse arrivata a Sarajevo non avrebbe mai toccato il centro – racconta uno dei protagonisti, Zoran Hercec, artista, scrittore e fumettista – invece è arrivata ed è arrivata di lunedì. Il 6 aprile del 1992. Avevo tredici anni e tutto quello che mi interessava erano i videogiochi e andare a scuola il meno possibile. Quando è scoppiata la prima bomba stavo giocando a un videogame con un amico. Ci nascondemmo in cantina pensando che sarebbe stata una cosa breve, ma durò quattro anni”.
“Il leader dei croati ha recentemente richiesto di inserire l’etnia nella carta di identità – continua poi Hercec – l’accordo di Dayton era una cosa provvisoria, non è mai stato pensato per durare trent’anni. Le cose non possono restare per sempre bloccate, o si finirà in un nuovo conflitto”.
L’altro narratore è Boba Lizdek, fixer di guerra. All’epoca ventiseienne, era la figura che entrando e uscendo dall’Holiday Inn rappresentava un ponte di comunicazione tra il conflitto che avveniva fuori dall’hotel e la stampa occidentale che lì soggiornava.
Entrambi ripercorrono il trentennale dell’assedio: Boba attraverso una mostra al Museo Storico della città e l’impegno all’Hotel History Foundation, con lo scopo di ricostruire la memoria storica degli hotel di guerra in varie parti del mondo. Zoran attraverso la ricerca per un suo fumetto.
Il film non usa mezze misure. Su queste toccanti parole scorrono immagini di paura e dolore, dei civili feriti dalle bombe e di una città nel mezzo del conflitto.
Il film diventa ovviamente molto attuale vista la situazione in Ucraina: “Ci stavo lavorando per il trentennale dalla guerra in Bosnia – dice la regista – e non è un film sulla memoria che ripercorre gli eventi, ma si concentra su quanto le guerre influiscono sulla situazione attuale. Gli effetti di una guerra coinvolgono le generazioni successive, non si risolvono mai, così è accaduto per la Prima Guerra Mondiale e per i Balcani. Abbiamo girato a dicembre. La guerra in Ucraina è scoppiata mentre ero al montaggio. Se noi avessimo fatto il film prima, avrebbe avuto un altro senso, e i protagonisti avrebbero fatto il paragone diretto, ma ci siamo resi conto che tutto sommato si ripetevano le cose. Mentre ero al montaggio le immagini che scorrevano mi sembravano direttamente legate al conflitto attuale. Il conflitto in Bosnia è ancora in essere, sebbene congelato. Con l’accordo di Dayton si è data una regolata ma ancora esistono problemi e solo recentemente si è vietato di negare il genocidio. La situazione non è ancora delle più rosee e con quello che sta accadendo, tutto è in continua tensione. Dodik dichiara di essere amico della Russia e questo spaventa molto. Io sono figlia di una donna che era una bambina durante la Seconda Guerra Mondiale, e gli echi comunque li ho sentiti. Zoran era un bambino quando è scoppiata la guerra e i suoi genitori ovviamente stavano attenti a non spaventarlo, quindi forse non sapeva nemmeno cosa stesse accadendo. Ma oggi è tornato e lo può fare perché ha una buona situazione economica. Altri sono stati costretti ad andarsene. I giovani in Bosnia vorrebbero cambiare il futuro ma è difficile, anche perché nessuno va a votare e la classe politica è ancora quella che ha creato quello che è accaduto 30 anni fa. Le parti politiche non riescono nemmeno ad accordarsi sulle elezioni”.
Cupisti racconta anche la genesi del film: “inizialmente doveva essere l’Hotel stesso a parlare, ma poi grazie ai suggerimenti dei miei collaboratori ho capito che ci volevano delle storie, e siamo arrivati a Zoran, che scrive benissimo e ci faceva anche un po’ da fixer. Poi è arrivata la direttrice dell’albergo, e infine Boba. Ci ha permesso di mettere tre generazioni a confronto. Io volevo raccontare soprattutto il presente e il futuro perché mi attrae il racconto dei giovani”.
Lizdek dice, in collegamento: “Questo albergo è storico anche per eventi sportivi epocali come i Giochi Olimpici, ma è ricordato per essere stato il fulcro della guerra e dell’assedio, è diventato il simbolo e l’icona della città di Sarajevo. La situazione attuale è un gioco molto delicato, una sfida. E’ l’anno delle elezioni, che si dovrebbero tenere a ottobre, e c’è tensione sia in campo politico che nei media. La gente comune pensa che la guerra non sia e non debba essere un’opzione, il paese è troppo povero e non potrebbe sopportarla. Si pensa che la Bosnia debba restare neutrale”.
Accanto al repertorio, c’è una parte in animazione: “L’abbiamo chiesta a Zoran – dice ancora Cupisti – lui fa quello. E lì c’è il suo racconto personale. Abbiamo preferito usare un suo disegno piuttosto che immagini di stock, il fatto stesso che fosse il suo tratto diventava importante per raccontare i suoi sentimenti. Ci rivela tante cose che magari Zoran a parole non direbbe”.
“La mia guerra è finita quando avevo diciassette anni – conclude Zoran – ora che ne ho quarantatré, i colpi di mortaio li sento ancora. Arrivano da un altro paese che, come il mio, si sente parte dell’Europa”.
QUI UN’INTERVISTA RADIOFONICA ALLA REGISTA (CON TRAILER):
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