BERLINO – La britannica Rebecca Lenkiewicz arriva all’opera prima, Hot Milk, in concorso alla 75ma Berlinale, con un pedigrée di tutto rispetto. Come drammaturga è stata la prima donna, nel 2008, a vedere rappresentato un suo testo al Royal National Theatre di Londra. Come sceneggiatrice ha collaborato alla stesura di Ida di Pawel Pawlikowski, vincitore dell’Oscar come miglior film straniero nel 2015 e del BAFTA.
Il film che presenta qui a Berlino è una riflessione molto densa sui legami familiari, sulla simbiosi madre-figlia, sulla rabbia repressa che diventa limite fisico e sulla liberazione anche attraverso gesti simbolici (non a caso la protagonista studia l’antropologa Margaret Mead e la danze rituali balinesi). Il film ha una forte impronta femminile, a partire dal romanzo del 2016 di Deborah Levy a cui è ispirato e che ha conquistato le produttrici Christine Langan e Kate Glover. E se inizialmente Lenkiewicz è stata contattata solo come sceneggiatrice, la sua ferma presa di posizione (“lo faccio solo se sarò io a dirigerlo”) ha dato un nuovo indirizzo al progetto.
Eterna studentessa non ancora laureata che non riesce a tagliare il cordone ombelicale, la giovane Sofia (Emma Mackey) scorta la madre Rose (Fiona Shaw) da sempre costretta sulla sedia a rotelle durante una vacanza al mare in Spagna, in Almería. In effetti il vero scopo del viaggio è quello di consultare uno specialista, il dottor Gómez (Vincent Perez), che cura questo tipo di malattie con metodi sperimentali. Il medico sospetta fin da subito una genesi psicosomatica nella paralisi di Rose e cerca di riportare a galla qualche trauma sepolto non senza una forte resistenza della paziente, che sembra affezionata alla sua condizione di dipendenza. Nel frattempo Sofia, che è stata abbandonata da suo padre, un greco che si è risposato con una ragazza e ha appena avuto una bimba, vede riaffiorare traumi nascosti anche attraverso una tormentata storia d’amore che vive con la disinibita Ingrid (Vicky Krieps) mentre la spiaggia è infestata da meduse terribilmente urticanti.
Tra i temi del film, che mette in scena tre generazioni di attrici, anche il fine vita. “E’ una questione grossa – dice la regista – e se ne parla molto in Gran Bretagna in questo momento anche perché c’è una nuova legge ma è fortemente contrastata”. Figlia del drammaturgo Peter Quint ma poi cresciuta con il secondo padre, l’artista Robert Lenkiewicz, Rebecca affronta il tema da un punto di vista estremamente personale e doloroso: “Mio padre soffriva di una depressione cronica e a 62 anni decise di lasciare volontariamente questo mondo. Poteva essere molto più facile per lui, se ci fossero state delle leggi diverse”.
L’irlandese Fiona Shaw, vista anche in Noi credevamo di Mario Martone, rivela di essere al suo primo festival in assoluto: “Ho 66 anni e sono al mio debutto”, dice la Petunia Dursley di Harry Potter. Che considera Hot Milk un film sul fallimento. “E’ un tema molto importante, il fallimento è una cosa terribile che ci riguarda tutti e da cui possiamo trarre ispirazione”.
Hot Milk sarà distribuito sulla piattaforma MUBI in tutto il mondo.
Circa 19.000 professionisti accreditati (compresa la stampa) hanno partecipato al festival. Sono stati venduti 336.000 biglietti al pubblico, un numero leggermente superiore a quello del 2024
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Al film una menzione speciale dalla giuria del Documentary Award. La motivazione: "Con questo film i registi sono riusciti a trasportarci in modo magistrale in un altro tempo e spazio, un luogo di meraviglie dove le voci ancestrali resistono e trascendono le bende che oscurano i nostri tempi"