CANNES – Il 77° Festival di Cannes è diventato il luogo dove si realizzano i sogni dei grandi artisti. Dopo il controverso Megalopolis di Coppola, ora è il turno di un altro ambiziosissimo progetto: Horizon – An American Saga, scritto, diretto e interpretato da Kevin Costner. L’attore e regista premio Oscar porta fuori concorso a Cannes la prima parte di un’epopea western che, esattamente come accaduto per Megalopolis, ha potuto realizzare solo mettendo fondo alle sue finanze personali.
“Una volta non ricevevo soldi per fare film, poi venivo pagato un sacco di soldi per farlo, ora devo pagare di tasca mia” ha ironizzato Costner in una conferenza in cui ha espresso tutta la gratitudine per il festival che ha accolto il suo lavoro. “Per me Cannes è il posto che ha portato in vita il mio film, è un festival importante che per me ha fatto la differenza. Spero di portare qui anche il terzo film”. Il regista è, infatti, pronto a tornare sul set del terzo capitolo di una potenziale tetralogia. Il primo film, lungo quasi tre ore, dopo l’anteprima a Cannes uscirà nelle sale italiane il 4 luglio, mentre la seconda parte il 15 agosto.
Ma che film è Horizon – An American Saga? È una storia corale ambientata sulla frontiera ovest americana nella seconda parte del XIX secolo (la storia inizia nel 1859), quando migliaia di persone di tutto mondo esploravano quelle terre desolate in cerca di una vita migliore, di un “orizzonte”, che nel film diventa un luogo vero e proprio – Horizon, per l’appunto – una terra idilliaca pubblicizzata con volantini propagandistici che invogliano a lasciare tutto e partire. “Queste persone farebbero di tutto per raggiungere questo posto senza nome. È una sorta di mito – afferma Costner – e lo era veramente. Vieni in questo posto, ci sono 90 milioni di bufali, vieni, non vedrai mai un edificio. In tutte le civiltà del mondo, c’erano edifici enormi, in America non c’era niente. C’era solo quest’idea di questo orizzonte sconfinato davanti a te. Puoi andare in questo luogo e se sei forte abbastanza, furbo abbastanza, puoi costruire una vita tutta per te”.
Kevin Costner interpreta Hayes, un cowboy gentile che si trova suo malgrado ad aiutare una giovane donna a scappare da un gruppo di banditi. Ma non è lui il protagonista della storia. Il protagonista è la frontiera, che fa da cornice a tante piccole storie che si intrecciano: una madre e una figlia scappate a un massacro degli indigeni che provano a ricostruirsi una vita, un ragazzino che vuole vendicare la morte della propria famiglia, una carovana che corre verso Ovest con a bordo una giovane coppia proveniente dall’Europa che non conosce le regole del West. “Questa storia è iniziata nel 1988 con il personaggio di Hayes. – racconta il regista – Io sono famoso a livello mondiale, ma se vai oltre questo fatto per un momento, noi abbiamo così tanto in comune. Io ho problemi con i miei figli, ho avuto problemi a fare questo film, e non so quale ragione ho tenuto il nome Hayes: era parte del viaggio e non volevo abbandonare questo personaggio. Non riuscivo a realizzare questo film, ma non smettevo di innamorarmene. Per questo 15 anni fa ho chiamato mio figlio Hayes ed è anche il motivo perché l’ho fatto recitare nel film. Interpreta il ragazzino che non vuole lasciare andare via il padre. È stata la prima volta che ha recitato. Ero lontano da casa e volevo la mia famiglia vicina: è stato un modo per intrappolarlo con me”.
Proprio il giovane Hayes è tra i protagonisti dell’avvincente sequenza iniziale, in cui l’accampamento di Horizon viene distrutto dai nativi americani con violenza e ferocia. “Ciò che accade in quella scena, è esattamente quello che amo del Western. Pensiamo che i western siano semplici, no è così. Sono complicati. Vivere a Cannes, a Parigi o Los Angeles è semplice. Non hai problemi. Ma nel West è terribilmente complicato: ci sono persone che non condividono la stessa lingua, armate, senza legge, che provano a vivere in quell’era di grande sviluppo. Per questo quando Hollywood crea film western semplici non li sento vicini a me. Hanno bisogno di un livello di complessità, non è facile scrivere un buon western. Non so se ne ho scritto uno buono, ma ho fatto il meglio che potevo. I film devono avere qualcosa in comune con te o perdi la traccia di cosa stai guardando al buio della sala. È quando riconosciamo noi stessi, che possiamo creare momenti che non dimenticheremo mai”.
Dall’acclamato autore di Balla con i lupi, non potevamo che aspettarci uno sforzo della rappresentazione di tutte le parti in causa. In Horizon, i nativi non sono diversi dai coloni, che sanno dimostrare spesso la stessa inaccettabile violenza. L’autore racconta le vicende di piccoli gruppi di persone, componendo tassello dopo tassello un quadro complesso e ricco di sfumature, così così come il west era ricco di minoranze, differenze e compromessi. Il tutto in un’impostazione di genere molto canonica che non ci regala di certo l’ambientazione western più originale o realistica di sempre. Al netto di una colonna sonora trascinante e dei meravigliosi quadri costruiti da Costner, la sensazione è che questa struttura narrativa sia più adatta al piccolo schermo: la trama infatti è troppo sfilacciata, con troppi personaggi e nessuna chiara direzione. La strada per Horizon è così lunga che si fatica a immaginarne una fine, ma di certo non si può dire che non ci si goda il viaggio.
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