Hleb Papou: “ho fatto ‘Il Legionario’ per il pubblico, non per un algoritmo”

Il giovane regista, artefice con Il Legionario di uno dei migliori debutti dell’anno, cerca di “anticipare le mode, non di seguirle”. Dopo il premio a Locarno e il passaggio ad Alice nella Città, il f


Dopo il premio al miglior regista emergente al 74mo Locarno Film Festival e il fresco passaggio ad Alice nella Città, Il Legionario è da oggi entrato a far parte del catalogo di Netflix. La storia di Daniel, l’unico celerino di colore di Roma, che si trova costretto a sgomberare il palazzo occupato dalla sua stessa famiglia, potrà così venire scoperta dal grande pubblico italiano. Il giovane regista Hleb Papou, nato in Bielorussia, ma cresciuto in Italia, ha realizzato Il Legionario partendo dal suo omonimo cortometraggio, realizzato nel 2017 e presentato a Venezia all’interno della Sic. Il film stato distribuito nelle sale italiane il 24 febbraio 2022 da Fandango.

Hleb Papou, è soddisfatto del percorso compiuto dal suo primo lungometraggio che ora, grazie a Netflix, potrà raggiungere il grande pubblico?

Sono abbastanza soddisfatto del percorso. Chiaro che nel periodo della pandemia non potevamo aspettarci risultati da capogiro al botteghino. Anche perché non è il tipico film italiano che parla della solita crisi borghese dei 50-60enni. Rimango fiducioso, il nostro film non è stato fatto per un algoritmo, non segue una moda. In qualche modo bisogna anticiparle le mode, non seguirle. Sicuramente la piattaforma permette una distribuzione più ampia, è una scelta abbastanza intelligente. L’idea era di realizzare un film a sfruttamento popolare, non un film per una nicchia di critici cinematografici oppure per un pubblico colto. No, è un film che racconta l’Italia contemporanea. Lo abbiamo fatto per il pubblico e visto che le piattaforme, nel bene e nel male, consentono la ricezione di un’opera cinematografica a un pubblico più ampio possibile, siamo tutti contenti.

Quali sono state le difficoltà del passaggio dal cortometraggio al lungometraggio?

La costruzione del film non è stata facilissima. Bisognava sviluppare diverse tematiche che erano abbastanza strette nel tempo del cortometraggio ma senza far annoiare il pubblico. Il corto era tutto incentrato sul Daniel, sul suo dilemma morale. Vuole realizzare il sogno da piccolo borghese: compagna, figlio, appartamento appena comprato, un lavoro statale sicuro; ma tutto rischia di scombinarsi. Nel lungo abbiamo avuto l’occasione di sviluppare i personaggi della casa occupata e dei celerini.

Uno degli aspetti più belli de Il Legionario è la sua capacità di raccontare in maniera realistica due mondi che in qualche modo rappresentano gli estremi dal punto di vista politico. I celerini sono più vicini all’estrema destra, gli occupanti all’estrema sinistra, ma sono tutti esseri umani.

 Il film ha un suo valore politico, ma non è ideologico, propagandistico. Un conto è presentare un problema che esiste dal punto di vista politico, dall’altro è sbandierare e dire quelli sono cattivi e quegli altri sono dei santi. Facendo così si fa un cattivo servizio allo spettatore. Non volevamo fare un film ideologico, giudicando i personaggi che trattiamo. Anche perché se inizi a giudicare un personaggio che vorresti raccontare, poi rischi di fare una mezza ciofeca. Ognuno di noi aveva delle idee politiche molto chiare, prima di entrare nel mondo del Reparto mobile e delle case occupate, però le abbiamo dovute lasciare a casa.

Avete fatto molte ricerche sul campo?

Sì, fin dai tempi del cortometraggio. Sia i poliziotti che gli occupanti sono stati molto gentili. Noi siamo stati molto onesti nel raccontare cosa volevamo fare, che storia volevamo raccontare. Abbiamo cercato di affiancare Germano Gentile, che interpreta Daniel, ai celerini e Maurizio Bousso, che interpreta suo fratello Patrick, agli occupanti. Era importante per fargli capire il ruolo che dovevano interpretare. Sono cose che non puoi raccontare stando nella tua stanzetta, inventando robe che sono solo nella tua testa. Diventa un lavoro molto limitato, e spesso nel cinema italiano si vede. Io, prima di lavorare a questo film, non sapevo niente di Reparti mobili o di case occupate.

Ora che il film è disponibile su Netflix e tutti possono facilmente recuperarlo, possiamo parlare del finale senza particolari rischi di spoiler. Come avete deciso di risolvere questo conflitto così forte del protagonista?

Avevamo ipotizzato diversi finali, e nessuno ci soddisfaceva. C’era quello “da PD” (ride ndr.), io lo chiamo così, in cui tutti si abbracciano e vanno a mangiare la pasta asciutta al grido di “evviva l’integrazione!”. Questa cosa non ci piaceva perché, insomma, non era onesta rispetto alla situazione che stavamo raccontando. Nemmeno un finale dove muoiono tutti, che sembra atipico, con il protagonista che si butta dal settimo piano, ci sembrava troppo da lacrima facile. Abbiamo cercato di seguire la struttura dei personaggi, senza costringerli a compiere scelte che col senno di poi sarebbero sembrate finte.

Quali sono i suoi progetti futuri, a cosa sta lavorando?

 Sto lavorando sul secondo lungometraggio, che dovrebbe essere un film di genere. Sarà un western contemporaneo, ambientato nel 2022 e ispirato a delle vicende di cronaca. Un film con le pistole, ma non di mafia.

Carlo D'Acquisto
07 Novembre 2022

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