Fantascienza filosofica, fantapolitica ed erotismo scandagliato nelle sue pieghe più nascoste sono al centro di High Life, il nuovo film di Claire Denis, dal 6 agosto in sala con Movies Inspired. Un film che affascina per la costruzione di un mondo “altro” eppure capace di parlare di noi stessi, per i rimandi alla storia ‘alta’ del genere, da Solaris a 2001: Odissea nello spazio, e per lo svolgimento a tratti spiazzante, ma anche Stalker per ammissione della stessa autrice.
Siamo in un futuro imprecisato su una navicella lanciata nello spazio profondo. E’ una prigione galattica, di forma cubica, dove sono stati rinchiusi in solo apparente libertà di movimento e con la gravità prodotta dall’accelerazione prossima alla velocità della luce, giovani uomini e giovani donne colpevoli di gravi crimini insieme a una dottoressa “Stranamore”, medico e sperimentatrice, anche lei pluriassassina, che tenta di riprodurre la vita umana, sperimentando con il seme dei carcerati e inseminando le giovani recluse come un’inquietante Ape Regina sterile. Solo uno degli uomini rifiuta il suo seme alla dottoressa Dibs (una carismatica Juliette Binoche con lunghissimi capelli intrecciati che diventano oggetto erotico e autoerotico): è Monte (Robert Pattinson), e proprio lui diverrà padre della piccola Willow sia pure in modi tortuosi. La dottoressa, una sorta di sciamana dello sperma, si avvale anche di una stanza del piacere, una sex box, dominata da un grande fallo di acciaio, usato in una scena molto intensa e disturbante, vero climax, in tutti i sensi, del film. Sull’astronave anche una serra lussureggiante, che ricorda qualcosa del pianeta natio ormai lontano anni luce.
Desiderio e ripulsa, pornografia e castità, tabù insuperabili e superati sono le parole chiave della ricerca di Claire Denis, autrice eclettica che qui spinge la navigazione stellare e cinematografica oltre le porte di un buco nero più mentale che fisico. Un progetto che ha richiesto parecchi anni – e la coproduzione tra Francia, Germania, Polonia e Usa – per decollare. Tanto che per il ruolo di Monte la regista aveva pensato allo scomparso Philip Seymour Hoffman e ha poi optato per Pattinson, che aveva apprezzato in Cosmopolis e Maps to the Stars di David Cronenberg. Anche Juliette Binoche si è unita al progetto in un secondo tempo, quando la prima scelta, Patricia Arquette, è venuta meno perché impegnata nella serie Medium. Eppure il cast, di cui fanno parte tra gli altri anche Lars Eidinger e l’esordiente Jessie Ross nei panni della giovane Willow, appare del tutto appropriato. Come pure le musiche di Stuart A. Staples dei Tindersticks autore anche del sound design e del brano finale, Willow, interpretato dallo stesso Pattinson.
Interessante anche l’uso che Claire Denis fa delle immagini che dalla Terra arrivano su uno schermo – necessariamente da un passato remoto: una partita di rugby, estratti dal documentario In the Land of the Head Hunters di Edward S. Curtis (1914) realizzato con indiani Kwakiutl sull’isola di Vancouver in cui vediamo i nativi raccolti attorno a un fuoco per un funerale, e un home movie. Oltre al flashback in cui scopriamo il delitto compiuto da Monte e l’intervista a uno studioso che allude alla scelta antidemocratica di usare detenuti per esperimenti.
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