Il cinema visto attraverso le locandine degli artisti cubani. E’ l’originale mostra che il Museo Nazionale del Cinema di Torino ospita fino al 29 agosto. Hecho en Cuba espone 200 manifesti, lavori di rara bellezza realizzati a mano dal 1959 – anno della Rivoluzione – al 1980. Le serigrafie sono di proprietà di Luigino Bardellotto, appassionato di cinema e di Cuba, che possiede oltre 1.200 di questi capolavori. “Appena Bardellotto mi ha illustrato il progetto, ho capito che sarebbe stata una grande mostra”, ha sottolineato il direttore del Museo del Cinema, Alberto Barbera, presentando l’evento alla stampa. Con lui erano presenti l’ambasciatrice cubana Alba Beatrix Soto Pimentel e Luciano Castillo, direttore della Cineteca di Cuba. Primo visitatore d’eccezione il sindaco di Torino, Piero Fassino. “Questa è una grande occasione – ha detto – per sviluppare i già ottimi rapporti tra Torino e Cuba. Si tratta di una mostra dall’alto valore culturale”.
Si tratta della più ampia mostra mai realizzata di manifesti cinematografici cubani, è curata da Luigino Bardellotto, con la collaborazione di Nicoletta Pacini e Tamara Sillo (Museo Nazionale del Cinema) e Ivo Boscariol, Patrizio De Mattio e Francesca Zanutto (Centro Studi Cartel Cubano). L’arte grafica cubana rappresenta una delle scuole più acclamate ed originali del mondo e raggiunge la sua massima espressione tra il 1964 e il 1980. Spartiacque, nell’evoluzione del segno e dell’invenzione grafica, fu la rivoluzione del 1959. Se negli anni precedenti, la cartellonistica mostrava uno stile di evidente derivazione occidentale, dopo la rivoluzione i manifesti non hanno legami con i film se non quale fonte ideale di ispirazione, offrendosi come vere e proprie opere d’arte. Mentre la grafica della solidarietà sociale e politica risultava più condizionata dalle scelte e dal controllo della politica, la grafica cinematografica godeva di maggiore libertà di espressione, un’autonomia formale che la rende unica nel suo genere per la capacità di coniugare il riferimento alle avanguardie artistiche con la tradizione figurativa e simbolica popolare. Con la costituzione de l’ICAIC (Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos) – avvenuta pochi mesi dopo la rivoluzione – i grafici iniziano ad interpretare con un nuovo stile i lungometraggi e documentari che giungono da ogni parte del mondo, poiché Fidel Castro puntava sul cinema e sulla cultura quale mezzo di comunicazione per arrivare al popolo.
Luigino Bardellotto, innamoratosi dell’isola e della sua cultura, compra casualmente il suo primo manifesto come souvenir da portarsi a casa. Incuriosito da questa grafica, incomincia a documentarsi e prendere coscienza di quello che sta dietro la realizzazione dei carteles de cine. Entra in contatto con questi artisti, vive con loro, entra nel loro mondo diventando un camajan – che nell’idioma locale indica uno straniero ben introdotto e rispettato dalla popolazione cubana – e riceve direttamente da loro molti dei materiali della sua collezione.
Il percorso espositivo si sviluppa sulla rampa elicoidale, all’interno dell’Aula del Tempio, cuore del Museo Nazionale del Cinema, e presenta una varietà di materiali unica nel suo genere: bozzetti, layout e manifesti si affiancano a video documentari d’epoca e moderni. Lo spazio sotto i grandi schermi è occupato da un’installazione che ricostruisce le suggestioni di una via de L’Avana, in puro stile déco, con una casa, un porticato, un murales, musica cubana e discorsi di Fidel Castro e Che Guevara. Alcune opere rappresentano pezzi unici, altre, di artisti consacrati e premiati a livello internazionale, sono disponibili in pochissimi esemplari, alcuni dei quali presenti in musei importanti (Moma di New York, National Gallery di Londra, Centre Pompidou di Parigi, Hermitage di San Pietroburgo, ecc.) e per questo di difficile fruizione.
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