SANTA MARGHERITA DI PULA (CA) – Harvey Keitel era stato ospite del Filming Italy Sardegna Festival già tre anni fa, allora in veste di presidente onorario. Quest’anno è tornato al Forte Village come ambasciatore della manifestazione. E anche in questa occasione ha parlato della sua carriera, dei registi con cui ha lavorato da Martin Scorsese a Abel Ferrara, dei suoi ruoli memorabili, tra cui Mr. Wolf interpretato in Pulp Fiction di Quentin Tarantino, film cult di cui ricorre quest’anno il trentennale.
Keitel dice di essere stato molto fortunato nella sua carriera, di aver avuto intuito quanto fortuna. Il regista che lo ha capito di più è stato Abel Ferrara (premiato quest’anno al festival), che lo ha diretto nel 1992 ne Il cattivo tenente. ”Ci siamo incontrati in un momento particolare della mia vita. Stavano accadendo cose profonde nel mio percorso e lui le ha viste e comprese. Io avevo bisogno di lui e lui di me. Abbiamo lavorato insieme alla sceneggiatura del film, che era stato scritto inizialmente da Zoë Lund, una donna bella e intelligente che ricordo con affetto, morta troppo giovane per dipendenza da eroina”, racconta Keitel, commuovendosi.
Nel 1994 per l’attore è arrivato Pulp Fiction di Quentin Tarantino e il suo indimenticabile ruolo di Mr. Wolf. “Quentin era un giovane regista strano e brillante. Me lo ha presentato una collega. Poi è venuto a bussare alla mia porta per chiedermi se volessi fare il film, sbagliando il mio nome. Io gli ho dato fiducia, mentre c’era chi non voleva dargliela. Quando ho letto il copione di Pulp Fiction, mi è sembrato di vedere quello di Lezioni di piano di .Jane Campion. Era qualcosa di davvero molto bello. E incontrare Quentin è stato uno dei momenti più belli della mia vita”. Ma oggi Keitel farebbe mai un sequel di Pulp Fiction? “Io farei di tutto con il mio ragazzo”.
Tra i prossimi titoli in uscita della star hollywoodiana, c’è anche Milarepa diretto da Louis Nero, film ambientato in un mondo dove la natura ha sopraffatto la tecnologia, in cui Keitel interpreta Buddha. “Louis è un regista brillante. Insieme abbiamo parlato del senso della vita e della morte. Questioni molto importanti per me, e che il film affronta attraverso la religione buddhista. Nella prima scena in cui appaio, incontro questa ragazzina di 10 anni che mi chiede quali sono i nostri demoni. Io le rispondo che sono nella nostra mente”.
Nella sua carriera, Keitel è stato diretto da molti registi italiani, come Paolo Sorrentino, Lina Wertmüller e Ettore Scola. “La differenza tra i registi italiani e quelli americani è che i vostri dicono molto cosa bisogna fare. Negli Usa c’è più libertà. Ma io sono cresciuto a Brooklyn e gli italiani li conosco bene”, dice sorridendo.
E a proposito di un regista italo-americano, Keitel ricorda il primo incontro con Martin Scorsese alla fine degli anni Sessanta. “Era uno studente al college e c’è stata subito intesa tra noi. È stato uno dei primi primi studenti di cinema a realizzare un film in 35 mm, una cosa che era inusuale al tempo. Trovai un annuncio per il suo primo film (Chi sta bussando alla mia porta, ndr) e andai a fare un’audizione. Mi presentai lì e arrivai su un set. Un uomo mi disse di sedermi, io risposi ‘chi sei?’, non sapendo fosse Martin. Andammo avanti così, con lui che mi diceva di sedermi e io di dirmi chi fosse. Alla fine i toni si inasprirono e mi rivelò che stavamo improvvisando una scena. Così ebbi la parte”.
Il motivo che spinge Keitel a 85 anni a trovare ancora oggi l’energia per fare l’attore, non sono tanto le storie o i personaggi: “Ho scelto questo mestiere per conoscere meglio me stesso e chi è intorno a me. C’è tanto che posso ancora imparare”.
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