VENEZIA – Ritorna sullo schermo la strage di Utøya e Oslo – a breve distanza da U July 22 del regista norvegese Erik Poppe presentato quest’anno al festival di Berlino – con il film in Concorso a Venezia 22 July di Paul Greengrass, che ricostruisce gli accadimenti legati al 22 luglio 2011, quando sull’isolotto di Utøya furono trucidati, per mano del terrorista di estrema destra Anders Breivik, 69 dei 650 ragazzi che si trovavano lì per il tradizionale campo estivo per giovani laburisti. Pur ricostruendo quell’agghiacciante ora e mezza in cui il killer, travestito da poliziotto, sparava contro i ragazzi indifesi che tentavano disperatamente di fuggire o di nascondersi, a differenza del film di Poppe, che si concentrava nella ricostruzione di quei tragici 72 minuti rappresentati per intero sullo schermo, 22 July si focalizza sul modo in cui il popolo norvegese – politici, avvocati e soprattutto famiglie coinvolte nella violenza- ha risposto dopo gli attacchi, che può essere considerato un esempio di dignità e impegno alla democrazia, come sottolinea il regista che rivela di esser partito inizialmente con l’intenzione di girare un film sulla crisi dei migranti a Lampedusa, ma che, lavorandoci, si è reso conto di come la paura delle migrazioni, insieme alla continua stagnazione economica, stia determinando un profondo cambiamento nella politica dell’Europa e dell’Occidente, sempre più portata verso la destra e i populismi, che possono rischiosamente aprire le porte all’estremismo politico: “Quello che è successo è stato un momento di rivelazione che ci ha permesso di vedere chiaramente ciò che stava accadendo. In Norvegia coloro che sono stati coinvolti in questo accadimento si sono mossi per lottare contro la minaccia di qualcosa che è diventato più forte. Questo film lo offro come forma di meditazione su come vincere”.
“Le democrazie devono lottare, convincere, vincere con i loro argomenti – continua Greengrass – Non esistono senza cambiare, occorre cogliere i momenti di sfida. Negli Anni ‘30 i nostri genitori e nonni avevano capito che il nazionalismo non controllato porta al protezionismo e poi alla guerra, ed avevano creato un modo per contenerlo. Negli ultimi dieci anni, però, questi confini si sono un po’ sgretolati e abbiamo aumenti di odio, una minaccia che ci riguarda tutti, che può essere vinta solo dalla forza delle idee. Per questo, nel film ho voluto mostrare i giovani che sono andati a testimoniare nel tribunale per sconfiggere Anders Breivik a livello di idee. È questa la sfida del domani, che sono fiducioso vinceremo”, conclude il regista sottolineando come il ruolo del cinema sia quello di tenere uno specchio al mondo per mostrare alcuni accadimenti, senza però caricarli troppo, senza urlare slogan, ma cercando di offrire un occhio il più veritiero possibile.
Ad interpretare, coraggiosamente, il ruolo del killer l’attore norvegese Anders Danielsen Lie, che rimarca l’importanza di porsi domande anche scomode per indagare la realtà: “E importante raccontare per ricordare coloro che sono stati colpiti, non bersagli scelti a caso, ma vittime designate di un terrorista che, sebbene fosse un lupo solitario, operava in un contesto ben chiaro”. Molte persone condividono le sue idee in Europa e questo è pericoloso, perciò è importante raccontare e non rendere questa tema un tabu. Se si vuole capire la forza e il pericolo della radicalizzazione è necessario interrogarsi sul perché del suo gesto”
Un trauma nazionale per la Norvegia e una delle pagine più oscure della recente storia europea, raccontato anche nel libro della reporter di guerra Åsne Seierstad, One of Us: The Story of an Attack in Norway – and Its Aftermath, su cui è basato il film, che sarà distribuito dal 10 ottobre su Netflix, una scelta tutt’altro che casuale, rivela il regista: “È importante che il film raggiunga in particolare i giovani, è la loro generazione che dovrà ribellarsi domani all’avanzamento dell’estrema destra”.
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