PALERMO – Un mese dopo l’uscita in sale e gli oltre due milioni di euro incassati, Iddu, il nuovo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, compie un ultimo, necessario passo nel suo percorso di diffusione: le Giornate del Cinema per la Scuola 2024. I due registi siciliani hanno, infatti, incontrato docenti e studenti in un incontro pubblico in chiusura della tre giorni palermitana, che ha segnato i prossimi step del legame sempre più saldo tra educazione scolastica e audiovisiva.
Presentato in anteprima assoluta alla Venezia 81, Iddu ha saputo convincere grazie al suo racconto lucido e ironico di un episodio davvero accaduto durante la latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Protagonisti sono Elio Germano, nei panni del latitante, e Toni Servillo, in quelli del pentito che prova a farlo arrestare intessendo con lui una corrispondenza.
Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, cosa ha insegnato e cosa può ancora insegnare Iddu agli studenti di Palermo e di tutta Italia?
Piazza: Il film affronta una pagina complicata della storia italiana, perché una latitanza che dura 30 anni pone molti interrogativi, che è giusto affrontare in senso critico. Questa è una delle cose più importati che cercheremo di dire a questo incontro: avere nei confronti della realtà che ci circonda e anche delle notizie che vengono raccontate nei giornali sempre un senso critico molto attivo. Farsi delle domande è la cosa più importante di tutte. Il film trascende il caso di cronaca per raccontare una condizione umana che ha a che fare con il male. Penso che offra degli spunti di riflessione importanti anche per le scuole.
È interessante il modo in cui avete raccontato l’infanzia di Denaro, il suo essere quasi marchiato dal destino criminale.
Grassadonia: Quella è proprio la base di fondazione della nostra storia. Mostrare come quando nasci e sei sottoposto a una dura educazione sentimentale di quel tipo, la possibilità che tu possa diventare altro da quello a cui sei destinato si riducono drammaticamente.
Siete riusciti in qualche modo a ribaltare la narrazione della figura del boss, a smitizzarla, quasi a ridicolizzarla. Penso alle scene in cui gioca alla PlayStation. Dietro il mostro c’era un uomo qualunque.
Grassadonia: Nel modo in cui ci approcciamo ai personaggi, che a volte traggono spunto da persone veramente esistite, non c’è mai un pregiudizio. Sono esseri umani che sono andati in contro a un determinato destino, in questo caso un destino votato alla criminalità e al male, però sono esseri umani come noi. Questo per noi è importante: non ci deve essere un intento predeterminato quando ti approcci agli esseri umani che intendi provare a conoscere, anche nella loro quotidianità. Denaro era una persona votata al male, ma estremamente intelligente, una persona forgiata da un certo mondo. Il problema che si pone è proprio sulla natura di quel mondo. Spesso accade che questi personaggi incarnino il male in una dimensione che, alla fine, è paradossalmente più dignitosa del mondo che li circonda.
Piazza: Noi ricordiamo spesso una frase di Giovanni Falcone che è importante. Diceva: attenzione a chiamarli mostri, a usare parole come piovra, cancro, perché questi signori ci rassomigliano e dobbiamo capire in che modo ci rassomigliano per capire, per combatterli. E questo è tanto più vero con una personalità come quella di Matteo Messina Denaro, che aveva abitudini borghesi, aveva amici borghesi, appunto giocava alla PlayStation, cosa che non ci siamo inventati. Le cose anche più ridicole, miserabili, o semplicemente banali e quotidiane di lui e della sua famiglia le abbiamo studiate dalle informazioni che erano a disposizione di tutti. È importante perché questo rassomigliarci diventa inquietante, anche disturbante.
Quanto è stato importante avere come protagonisti due dei migliori attori delle rispettive generazioni, come Toni Servillo ed Elio Germano? In che modo li avete coinvolti nella definizione dei personaggi?
Grassadonia: Quando noi abbiamo messo a fuoco questo carteggio avvenuto agli inizi degli anni 2000 tra il latitante e questo ex sindaco del suo paese di origine, noi abbiamo immediatamente parlato con il nostro produttore di Toni Servillo ed Elio Germano, noi pensavamo che il film si dovesse fare con loro. Li abbiamo coinvolti sin dall’inizio nel processo di scrittura e loro hanno portato tutta la loro esperienza, intelligenza e talento nel dare forma e vita ai loro personaggi, in uno scambio costante dalla prima stesura del copione, al set, fino alla visione in montaggio. La loro presenza è stata fondamentale, arricchente. Questa è la fortuna di lavorare con un grande cast.
In che modo riuscite a completarvi a vicenda nel vostro mestiere di autori cinematografici?
Grassadonia: La nostra esperienza insieme nasce da sceneggiatori, lo abbiamo fatto per molti anni. Poi abbiamo deciso che bisognava dare un senso al lavoro che si stava facendo e quindi provare a mettere mano a delle storie, a delle riflessioni, a dei temi che ci stavano a cuore in quanto siciliani, nati e cresciuti negli anni ’80 e ’90, anni duri. Ci è sembrato naturale provare ad esplorare certi tipi di temi e generi. A questo punto, tra di noi c’è una visione comune di fondo che è molto forte, poi ovviamente durante il processo di produzione di un film, che dura tre anni, ci siano conflitti, ma il lavorare insieme e la bellezza di fare cinema è esattamente questo. Confliggi perché deve venire fuori qualcosa che convinca entrambi al cento per cento. Non è un problema di mediazione: una volta vinci tu, una volta vinco io. No. Perché una volta che si confligge si arriva a una nuova determinazione.
Continuerete ad ambientare i vostri film in Sicilia?
Piazza: Può darsi. Progetti da sceneggiatori, non solo da registi. Non so se riusciremo a superare lo Stretto. Per quanto riguarda i temi della criminalità organizzata, per quanto il futuro sia tutto da scrivere, non penso che ci sia bisogno di tornare su questo tema perché ci sembra di avere detto quello che ci stava a cuore di dire attraverso i film già fatti.
Grassadonia. È stata una sorta di immersione e ora c’è una riemersione, anche con un tono più leggero, più grottesco, di commedia. Ci sembra che questo capitolo di Iddu chiuda in maniera chiara la nostra riflessione antropologica e psicologica su certi contesti che conosciamo bene.
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