Mentre Slobodan Milosevic risponde al Tribunale all’Aja delle accuse di genocidio, esce in Italia Come Harry divenne un albero del regista serbo Goran Paskaljevic (La polveriera) che dell’ex dittatore è sempre stato uno strenuo oppositore.
Un film a tutti gli effetti europeo: ambientazione e attori irlandesi, produttori italiani, irlandesi, inglesi e francesi.
Nato nel 2000 (quando la stampa del regime serbo accusava il filmaker di essere un nemico del popolo) dall’incontro tra Paskaljevic e Riccardo Tozzi, capo della Cattleya, Come Harry divenne un albero racconta di un uomo che, dopo aver perso la moglie e il figlio preferito, trova nell’odio la sua unica ragione di vita. Ispirato a un libro di favole cinesi, è una storia dal sapore beckettiano in cui la tragedia trascolora nello humor.
Definisce il suo film come una metafora del regime di Milosevic. Perché?
E’ una metafora indiretta perché mette in scena il processo di invenzione dei nemici. Il regime serbo per rimanere al potere ha fatto lo stesso. Invece di offrire un programma economico efficace ha cercato il consenso nel modo più facile: ha colpevolizzato gli altri per i nostri problemi. Così l’odio verso gli altri è divenuto fonte di legittimazione. Ma non accade solo in Serbia: penso all’ideologia razzista dell’ultradestra francese di Le Pen e anche a Bush che, dopo l’11 settembre ha trovato il nemico in Bin Laden ed è diventato molto più populista di prima. Nel film Harry è un personaggio tragico che distrugge la sua vita e quella altrui. Milosevic ha fatto lo stesso. Certo, Harry ha degli aspetti umani che lo rendono in parte giustificabile. Milosevic no.
Come è stato accolto il film in Serbia?
Sarà distribuito nelle sale solo tra due mesi. Ma i commenti sono ottimi. Forse in Italia, dopo il successo di La polveriera qualcuno si aspettava un film simile ma lì sanno che amo cambiare. Comunque per me lo stile viene dopo la scelta della storia: è il materiale di base che mi spinge a scegliere la forma. Harry è molto stilizzato, il mio prossimo film sarà un melodramma, nel senso migliore del termine, s’intende…
Sarà tratto dal romanzo “Ti prendo e ti porto via” di Niccolò Ammaniti. Molto italiano quindi…
Si. Il produttore sarà ancora Riccardo Tozzi e Ammaniti, che con questo libro è stato per due mesi in cima alla classifica delle vendite in Serbia, è il co-sceneggiatore. E’ un lbro così complesso che ci si potrebbero fare almeno cinque film. Io ho scelto una storia con tre personaggi e il protagonista sarà un ragazzo che vive in una sorta di Sodoma e Gomorra in cui è un diverso. Ora lavoriamo all’ultima stesura della sceneggiatura. Le riprese cominceranno in estate.
Al centro di “La polveriera” e di “Harry” c’è la violenza. È uno specifico del cinema della ex Jugugoslavia?
I nostri film sono pieni di violenza perché è davanti ai nostri occhi ogni giorno. Ciò vale anche per i giovani registi serbi. Attraverso mio figlio 28enne ho conosciuto molti che non riescono a produrre a causa della mancanza di denaro. Per aiutarli ho creato una casa di produzione e quando leggo le loro sceneggiature mi accorgo che tutte parlano di violenza. È normale vista la situazione del nostro paese.
Che cosa pensa del processo contro Milosevic?
Che è partito col piede sbagliato. Milosevic è giustamente accusato di crimini di guerra ma il fatto di esser l’unico sul banco degli imputati, mentre gli altri responsabili la fanno franca, permette a questo grande demagogo di rivolgersi ai serbi come un eroe. E poi perché quel tribunale funziona solo contro la Serbia e il Ruanda e non si occupa anche dei crimini degli Usa? Durante gli stupidi bombardamenti di Belgrado, che hanno avuto come unico risultato il rafforzamento del regime e contro cui in Italia c’era un forte movimento di opposizione, molti civili innocenti hanno perso la vita. Vorrei vedere all’Aja anche i colpevoli di quelle morti.
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