Con Go Home! A casa loro, in selezione ad Alice nella città, Luna Gualano riporta gli zombie alla loro dimensione politica, quella che gli venne attribuita da George Romero nel capostipite La notte dei morti viventi. Là c’era un’orda di cadaveri ambulanti, affamati “proletari”, pronti a fare polpette di un gruppo di antipatici borghesi, e l’antieroe della situazione (perché di eroi in queste situazioni non se ne vedono, oggi come allora) era l’afroamericano Ben, unico nero in un gruppo di bianchi ‘bene’, che alla fine, pur essendo sopravvissuto a quelle ore da incubo, veniva scambiato per uno zombie e barbaramente ucciso dalle autorità intervenute sul luogo.
Gualano rovescia intelligentemente la situazione, costringendo un bianco di estrema destra (Antonio Bannò) in un centro di accoglienza pieno di neri durante un’apocalisse zombie scatenatasi a Roma proprio nel bel mezzo di una protesta contro gli immigrati. L’allegoria è forte e lo sceneggiatore Emiliano Rubbi la approfondisce in conferenza: “Lo zombie è un’ottima metafora perché è mosso dalla disperazione e dalla fame, più che dalla cattiveria. Si basa su istinti primitivi ma al contempo è utile alla rappresentazione di un’odio cieco che non ha alcuna motivazione razionale. Inoltre, questo odio si diffonde come un virus, arrivando a infettare anche chi ne è stato vittima”.
“C’è anche un altro aspetto che mi interessa – specifica Gualano – ed è l’orda, che investe gli immigrati esattamente come l’oceano. E’ la rappresentazione del viaggio di queste persone che oltretutto non termina certo con l’arrivo in Italia. Nessuno sa quale sarà il suo destino da quel momento in poi. E’ di poche ore fa la notizia di un immigrato che si è tolto la vita quando gli è stato negato asilo politico, quindi il tema è assolutamente attuale. Dopo lo sbarco questi ragazzi continuano a lottare e appena mettono la testa fuori gli viene tagliata”.
La realizzazione del film è stata resa possibile dalla partecipazione spontanea di molti enti e artisti. Ad esempio, il centro sociale Intifada e lo Strike spa hanno messo a disposizione i propri spazi come location. La Zona e Cocoon Production si sono occupate del coordinamento dell’intero progetto e della post-produzione. Ed è stato il laboratorio di videomaking ‘Il Ponte sullo Schermo’, tenuto dalla stessa Gualano, a porre le basi per lo sviluppo della pellicola.
“Ho preferito usare i centri sociali piuttosto che dei veri centri accoglienza – spiega la regista – perché sono ambienti vissuti artisticamente e visivamente interessanti. A volte per raccontare bene la realtà bisogna discostarsene. Quanto al laboratorio, di base ho scelto persone che avevano già una predisposizione alla recitazione, o che avevano esperienza. Non lo dice nessuno ma anche in Africa esistono gli attori. Li ho fatti recitare scambiandosi i ruoli. Li hanno coperti tutti, compreso quello del fascista, in modo che potessi capire quali erano più adatti a ciascuno. Ho fatto casting esterno solo per i ruoli che richiedevano una certa fisicità. E poi c’è il piccolo Papi, che anche se gli viene negata la cittadinanza è un italiano di seconda generazione a tutti gli effetti. Parla naturalmente senegalese ma anche romano”.
Di interessante c’è anche il punto di vista femminile, raro per il genere horror: “L’ho sempre amato – commenta la regista – ma in generale amo tutto quello che supera il reale, il mondo del fantastico, quindi il fantasy, la fantascienza e i generi, che mi danno la possibilità di raccontare il vero usando delle metafore e comunicando in maniera più efficace. Scelgo l’horror perché è più gestibile dal punto di vista del budget. La mia speranza è che un ragazzo magari attirato dall’idea di vedere un film di zombie entri in sala e inizi a parteggiare per gli immigrati immedesimandosi nella loro condizione”:
E se invece dovesse parteggiare per il fascista? “E’ un rischio – risponde Gualano – lo abbiamo dovuto correre perché volevamo un personaggio tridimensionale. Non volevamo un cattivo ma nemmeno un eroe, non un furbo ma nemmeno uno scemo e non volevamo nemmeno che fosse troppo antipatico. Ma la svolta è nel finale, che ovviamente non sveliamo. Lì si capisce chi fa le scelte giuste e chi quelle sbagliate”. “Non sono certo di estrema destra come il mio personaggio – dice l’interprete Bannò – ma dovendolo interpretare cerco di capirne le scelte e anche di difenderle. Quello che mi dico è: ‘chi al posto suo avrebbe fatto diversamente? Chi non si sarebbe salvato la pelle?”
Zerocalcare ha disegnato la locandina del film, mentre Il Muro del Canto, i Train to Roots, Daniele Coccia e Piotta partecipano con la loro musica. Baburka Production ha coperto scenografie, costumi ed effetti speciali. Yomigro ha assistito a tutte le fasi al laboratorio con i migranti presso lo Strike spa. Inoltre, un folto numero di professionisti del settore, associazioni e micro-finanziatori hanno partecipato al film rendendolo un vero e proprio prodotto collettivo.
Chiude la conferenza un altro degli interpreti, Cyril Dorand Nzeugang Domche, anche scrittore con ‘ Le Chemin Que Vous m’Avez Emprunté ’, che entro novembre avrà un’edizione italiana. “Ho partecipato – dice l’attore – perché la legge italiana mi impedisce di sognare. Sono a tutti gli effetti un uomo invisibile. Nell’oscurità non mi vedete perché sono nero ma se ascoltate col cuore sentirete la mia presanza. Volevo lanciare un messaggio e allora, anche se di solito faccio rap, mi sono avvicinato alla recitazione. Poi ho capito che il progetto diventava sempre più grande. Oggi sono qui al festival del cinema di Roma, io immigrato, a una conferenza stampa, ed è un grande onore”.
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