Chissà, se stringendo il premio Oscar ai migliori effetti visivi, Takashi Yamazaki sapeva di star facendo la storia, mettendosi nel solco di nomi importanti, di quelli a cui fa paura accostarsi, come Stanley Kubrick. Era da 2001: Odissea nello spazio infatti, 1969, che un regista non veniva premiato per gli effetti visivi. Inoltre, solitamente questa categoria vede premiare i grandi blockbuster dell’anno, film con budget da centinaia di milioni di dollari e imponenti dipartimenti di VFX (visual effects). Se i contendenti erano titoli come Guardiani della galassia 3 o Mission: Impossible 7, film che hanno potuto contare sul supporto di realtà storiche nel settore degli effetti visivi come la Industrial Light & Magic di Disney e Lucasfilm, Godzilla: Minus one aveva a disposizione un budget di appena 15 milioni di dollari e un gruppo di solo 35 vfx artists. Uno scontro da Davide contro Golia (se non fosse che Godzilla è alto 50 metri).
Godzilla: Minus one non arriva dal nulla. Nonostante una ridotta distribuzione in Italia, il film ha ottenuto importanti risultati a livello globale, incassando oltre 80 milioni di dollari e registrando così un nuovo record per un film giapponese di Godzilla. Il “Kaiju” (così vengono chiamati i giganteschi mostri tipici della fantascienza giapponese) ha appena compiuto 70 anni e questo è il primo premio Oscar che riesce a vincere. Per il suo Godzilla: Minus one – un vero e proprio ritorno al personaggio come metafora delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki – Yamazaki si è preso cura di tutto. L’ha scritto, l’ha diretto e ne ha personalmente supervisionato gli effetti visivi. Per farlo, con questo budget, e con la tecnologia a disposizione del suo team, appartenente alla Shirogumi di Tokyo, Yamazaki ha dovuto affrontare molte sfide. Da regista, ha cercato in ogni frame sorretto da effetti visivi un modo per proseguire il racconto, per affondare ancora meglio nell’essenza di questo personaggio. Guidando i lavori sugli effetti visivi, invece di affidarlo a società di terze parti, pratica comune a Hollywood, Yamazaki ha imposto la propria visione, limitando spese e perdite di tempo. “Quando sono il regista e anche il supervisore degli effetti visivi – ha raccontato -, sono quello che ha la visione in testa, così si elimina la necessità di esternalizzare e dire: ‘Oh, non è quello che pensavamo di ottenere’. È tutto consolidato in anticipo. Se non avessimo quel flusso di lavoro, penso che gireremmo in tondo e andremmo avanti e indietro, ed è allora che finisci per sprecare un po’ di tempo e denaro qua e là”.
Per la battaglia finale, ad esempio, quando Godzilla rientra nell’oceano, voleva un’aura sacrale. “È un momento quasi religioso – ha spiegato – in cui dovevamo integrare il fotorealismo della scena con questo aspetto cerimoniale, integrando le due parti”. Per rifondare il mito di Godzilla, ripartendo dal “grado zero” del personaggio, è stato necessario ripensarne il design e il movimento, cercando nel dettaglio pezzi di storia. Godzilla, per il Giappone, è un mostro e un dio. Terrore e potere. La metafora con la bomba atomica passa anche da qui, e infatti il film è un controcampo perfetto a Oppenheimer. “L’immagine di Godzilla cambia notevolmente con solo un leggero cambiamento nella posizione del bacino” ha spiegato Kiyoko Shibuya, supervisore e produttrice degli effetti visivi (terza donna a vincere un Oscar nella categoria). “Se il suo bacino è alzato, sembra troppo divino, e se è abbassato, assomiglia troppo a un mostro. Ho avuto difficoltà a decidere la postura che avrebbe dato l’impressione sia di un dio che di un mostro, che era il nostro obiettivo per questo progetto”.
Inoltre, il passo e le sembianze di Godzilla dovevano richiamare la storica tuta di gomma con cui per decenni è stato realizzato il personaggio. Non c’era modo perciò di nascondersi dietro la limitatezza dei mezzi a disposizione: il team ha fatto di necessità virtù, realizzando il film con appena 610 riprese in VFX, pochissime per una tipologia di film che ne richiede oggi molte migliaia in più. Per le scene che richiedevano di ricostruire la presenza di Godzilla in acqua, tra le più difficili realizzate per il film, erano necessari talmente tanti dati che i computer della produzione non potevano elaborarli. Per una sequenza in particolare, Yamazaki ha ricordato il suo mito, Spielberg, e ha deciso di andare sul luogo, girare le scene con la barca e poi unire le riprese dal vero con la CGI. “Se il tutto fosse stato renderizzato in CG, sarebbe stato più semplice. Questa è stata la parte più difficile: abbinare il livello di dettaglio e risoluzione dell’acqua e cercare di renderla coerente” ha spiegato. Per quanto non fosse nelle intenzioni – assicura il regista – la scena in questione sembra anche un grande omaggio a Lo squalo di Spielberg.
Interrogato sulla possibilità che il film indichi una nuova via anche per Hollywood, sempre più stretto nella morsa di budget talmente grandi da richiedere incassi quasi miliardari per rientrare dei costi, Yamazaki ha fatto un passo indietro. Come ha ricordato sul palco degli Oscar, per lui il cinema è Hollywood: ha iniziato spalancando la bocca davanti alle immagini di Lucas, di Spielberg, di Cameron. Come Bong Joon-ho agli Oscar 2020, ripreso più volte mentre filmava con l’Iphone Martin Scorsese e gli altri suoi eroi d’infanzia, conosciuti dall’altra parte del mondo, anche Yamazaki è prima di tutto un appassionato che sta vivendo il proprio sogno. “Non so se c’è qualcosa che Hollywood possa imparare da noi – ha dichiarato – ma sicuramente se c’è una visione solida durante il processo di realizzazione di un singolo film, allora credo che sia possibile ridurne i costi”.
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