Classe 1998, Giulio Pranno ha debuttato al cinema nel 2019 diretto da Gabriele Salvatores in Tutto il mio folle amore. Con lo stesso regista ha nuovamente lavorato in Comedians, in sala nel 2021, stesso anno in cui lo abbiamo visto destreggiarsi in altri due film: Security di Peter Chelsom e La scuola cattolica di Stefano Mordini. Sveglio, sensibile e dal volto magnetico, a 12 anni ha iniziato ad approcciarsi al teatro, luogo dove si è formato e dove ha scelto cosa “fare da grande”. In queste settimane è in scena con Il figlio, adattamento italiano dell’omonima pièce di Florian Zeller, la stessa che il regista, Premio Oscar per la Migliore Sceneggiatura Non Originale con The Father – Nulla è come sembra, ha trasposto nell’omonimo film presentato alla 79ma Mostra del Cinema di Venezia e che è nelle sale italiane dal 9 febbraio con 01 Distribution.
Giulio Pranno condivide il palcoscenico de Il figlio con Cesare Bocci, Galatea Ranzi e Marta Gastini, per la regia di Piero Maccarinelli.
Dopo alcuni film importanti è tornato al suo primo amore, il teatro… come si sente?
Molto felice. All’inizio ero molto eccitato, però non ero pienamente cosciente. Quando poi è iniziata la tournée, anzi quando abbiamo fatto gli otto giorni di prove in Abruzzo, è tornata l’emozione della prima volta che ho messo piede sul palco.
Ora che qualche importante esperienza cinematografica l’ha fatta, rinuncerebbe mai al cinema per il teatro o al teatro per il cinema?
Perchè mai, no assolutamente. Sono due cose che possono benissimo conciliarsi oltre che due esperienze diverse a cui non voglio rinunciare.
In queste settimane è in scena con Il figlio, un testo importante che affronta la depressione, la salute mentale, la responsabilità che un genitore si sente addosso nei confronti del figlio che manifesta un certo malessere… Come si è approcciato a questa storia?
È stata una costruzione che ho fatto giorno per giorno durante le prove e un po’ anche senza rendermene conto, perché il testo è scritto talmente bene che è quasi spontaneo e immediato riuscire a immergervisi. In più ho lavorato con un regista molto bravo, Piero Maccarinelli, che mi ha condotto verso la direzione giusta. Ammetto di non avere fatto un lavoro a monte anche perché ero impegnato sul set, quindi se il pomeriggio facevo le prove la notte magari stavo girando. Mi sono lasciato molto guidare dal testo scritto e dal regista.
Lo stesso Zeller ha ammesso che questo suo testo è molto lineare rispetto agli altri due che compongono la trilogia (Il padre, La madre, Il figlio) e che sono più labirintici…
Sì, questo è un testo molto diretto e chiaro. In particolare, rispetto a The Father ha una struttura molto più semplice, basti pensare che lì si trattava di Alzheimer e quindi era necessario ci fosse una realtà alterata…
Il film The Son è stato presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia e sta per arrivare nelle nostre sale. Ha avuto modo di vederlo prima di andare in scena?
No, e sinceramente non voglio vederlo finché non termina la tournée. Non voglio essere influenzato da nulla in questo momento, voglio solo godermi il mio personaggio.
Se una di queste sere tra il pubblico in sala ci fosse Florian Zeller, avrebbe qualche curiosità da chiedergli?
Sì, gli chiederei ‘ti sono piaciuto?’. In realtà no, nulla, perché Piero lo conosce molto bene, ha avuto modo di parlare lungamente con lui, conosce tutto ciò che sta dietro il testo, anche i più invisibili significati, ed è riuscito a trasmettermi veramente tanto. Parlare con Piero per me è stato un po’ come parlare con Zeller.
Nell’attesa di salire sul palco o di girare la scena di un film cosa fa?
Questa è una bella domanda perchè è un qualcosa che cambia di progetto in progetto. A differenza di diversi colleghi, non ho riti scaramantici precisi o che ripeto. Prima di entrare in scena cerco di concentrarmi al massimo e di fare qualche prova di respirazione, cose molto consuete e banali, mentre sul set ultimamente cerco di arrivare senza pensieri, completamente impreparato e pronto a lasciarmi prendere dalla scena che sto per girare. Insomma, cerco di arrivare senza sovrastrutture.
Nel cinema ha iniziato con Salvatores, poi Mordini… con quali altri registi o colleghi le piacerebbe confrontarsi e lavorare sul set?
Di registi ce ne sono tanti, soprattutto c’è ‘una scuola giovane’ che mi piace molto. Non le faccio però nomi specifici, semplicemente perché per me vengono prima le storie. Certo è fondamentale chi dirige, però deve colpirmi prima di tutto la storia. Riguardo i colleghi invece c’è una persona in particolare, un attore con cui ho fatto un provino molto bello e che spero di incontrare a breve sul set, ed è Gabriel Montesi. L’ho trovato veramente bravissimo. Abbiamo fatto un provino per un progetto di cui non posso parlare e devo dire che per me è stata una grandissima rivelazione.
Secondo lei oggi, per fare l’attore, ci vuole talento, fortuna o successo sui social?
Un mix di tutte e tre le cose sarebbe ideale! La fortuna in primis, quella di trovarsi al momento giusto nel posto giusto, ma anche di avere la faccia giusta, quella che il regista si immagina. È pur vero però che l’apparenza sui social oggi conta molto. Con questo non voglio dire che lavorano solo quelli che hanno milioni di follower, però sì, un produttore probabilmente è molto più propenso a scegliere una persona che ha un grosso seguito rispetto a uno che è quasi sconosciuto, e diciamo che anche a livello contrattuale queste cose contano molto, anche se sono un po’ assurde.
Quindi direi che, tra le tre, quella che può finire con il valere di meno è il talento.
Ovvio, il talento delle volte fa la differenza ma delle altre ci sono più componenti che devono congiungersi e da solo non basta. E poi adesso c’è una tendenza da parte di tanti registi, che definirei un po’ pasoliniana.
Si spieghi meglio…
Intendo una tendenza a scegliere non attori – come se non fossimo già abbastanza e ci fosse il bisogno di aggiungere nuovi volti – che interpretino praticamente loro stessi. Non so se questa sia una sincera ricerca di verità o se mancanza di tempo per la preparazione o di volontà di dirigere attori per portarli allo stesso risultato, se non migliore, di chi, estraneo al mestiere, vive però gli stessi drammi del personaggio che è stato scritto. Sì, credo che questa sia una pratica che sta prendendo sempre più piede.
Qual è il film che le ha cambiato la vita?
Quello che amo di più è Il buono, il brutto e il cattivo. L’ho visto così tante volte… Quello che mi ha fatto scegliere questo mestiere è Bastardi senza gloria. È il film con cui ho scoperto Tarantino. Appena l’ho visto ho provato una bella emozione e ho pensato ‘wow, questo voglio farlo anche io. Voglio appartenere anche io a questo mondo!’.
Ho letto che quando ha tempo libero, tra le varie cose, legge libri su come si diventi sceneggiatori. È così?
Sì, è la parte che mi interessa di più. Solo uno sciocco non ammetterebbe che la parte più importante del nostro mestiere riguarda la parola scritta. A volte si mette l’attore davanti a tutto il resto ma non dovrebbe essere così, e poi noi non abbiamo uno star system come quello americano o francese. Il successo di un film italiano e non solo dipende molto spesso dal passaparola e questo avviene se c’è una bella storia.
Le piacerebbe mettersi in gioco con la scrittura?
Ho fatto un corso alla Scuola Holden però forse non sono così capace come speravo, o forse potrei diventarlo solo se trovassi una storia capace di accendermi qualcosa dentro. Per ora ho scritto una cosa che ha più le sembianze di un romanzo e non di una sceneggiatura, perché poi tradurre per azioni, che è quello che si fa nel cinema, il famoso mostrare e non raccontare, non è una cosa semplice. Prima di buttarmi in questa esperienza sto ben attento di avere veramente in mente una buona idea, una buona storia da scrivere.
Può anticiparci qualcosa sui suoi progetti futuri?
Non posso dirvi molto però l’unico film a cui posso accennare è il Vangelo secondo Maria di Paolo Zucca. Non so quando uscirà, posso però dirle che mi sono trovato molto bene a lavorare con lui, è un film a cui tengo molto e credo sia venuto veramente bene.
(Foto di Moris Puccio)
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