Gipi e le storie dal fumettomondo

Il fumettista e regista parla de 'Il ragazzo più felice del mondo', il suo nuovo film nella sezione 'Sconfini' a Venezia 75


VENEZIA – Gianni Pacinotti, in arte Gipi, apprezzatissimo fumettista autore, tra le altre cose, de ‘La mia vita disegnata male’ e ‘La terra dei figli’, torna alla Mostra – nella sezione ‘Sconfini’ – come regista, dopo L’ultimo terrestre del 2011, con Il ragazzo più felice del mondo. In quel caso si ispirava a un fumetto. Non suo. L’origine era infatti la graphic novel ‘Nessuno mi farà del male’ di Giacomo Monti. Anche questa volta la scintilla viene dal fumettomondo, ma da quello reale, concreto, che gravita intorno agli artisti. È una storia vera. Quella di una persona che da più di vent’anni manda lettere cartacee scritte a mano a tutti gli autori di fumetti italiani spacciandosi per un ragazzino di 15 anni. Nelle lettere, piene di complimenti, chiede sempre “uno schizzo” in regalo. Per agevolare il compito ogni busta contiene un cartoncino bianco e un francobollo per la risposta. Gipi indaga su chi sia veramente, sul perché si nasconda dietro la falsa identità di un adolescente. Vuole girare un documentario, trovare questa persona, intervistare gli altri autori che hanno ricevuto la lettera: come si sono sentiti quando l’hanno ricevuta? E come quando hanno scoperto che si trattava, sostanzialmente, di una truffa? Per realizzarlo, recluta degli amici. Sono solo degli amici. Completamente incompetenti. Nessuno di loro ha mai lavorato a un documentario. Il fonico, per esempio, non sa neppure che non deve stare in campo. Ma c’è una storia da raccontare e, per Gipi, raccontare storie è la cosa più importante che c’è. Anche se i problemi sono tanti. Ci sono quelli legali, innanzitutto: non si può fare il nome di questa persona, chiaramente, né fornire dettagli precisi sulla sua identità. Ci sono quelli etici: anche scoprendo la sua identità, lo si esporrebbe al pericolo di una spietata gogna mediatica. Così il film presto svolta verso un progetto molto più intimo e personale, un’occasione per riflettere su come ci si pone di fronte al mondo e agli altri, soprattutto quando si è artisti.

Ci racconta lo spunto della storia e come i problemi pratici l’hanno influenzata?

E’ tutto vero. Nel film c’è il mio vero avvocato a cui ho chiesto ‘come faccio a raccontare questa cosa senza prendermi una denuncia? La scena è stata rigirata, ma è accaduto tutto veramente e lui mi ha dato le indicazioni giuste. Mi ha spiegato che non dovevo mai rendere questa persona individuabile ma ben presto il problema legale è stato superato da quello ‘umano’. Se avessi esposto questa persona al pubblico gli avrei potuto fare veramente male. E’ una persona che ha un segreto vero e non vuole farlo conoscere.

Lo ha incontrato?

No. So tutto di lui ma non ci sono mai voluto andare. Nella prima stesura di questo lavoro, quando ancora si trattava di un documentario più che di una fiction, la sceneggiatura diceva ‘qui andremo a incontrarlo e vediamo che succede’. Volevo farlo davvero ma ho cambiato idea quando ho capito che per lui poteva essere veramente pericoloso.

Voleva mettere su un pullman di fumettisti per fargli una sorpresa, giusto?

Sì. In tantissimi mi avevano dato adesione, erano contenti di farlo. Ancora mi scrivono per sapere come è andata.

Una delle scene più divertenti del film è la sua surreale proposta a Domenico Procacci per il progetto erotico La vita di Adelo. Era una parte recitata o una candid camera?

Prima o poi lo faccio davvero quel film. E’ sempre il mio produttore, non potevo prenderlo proprio in giro in diretta. Gli ho dato un testo da leggere, è un amico quindi ha accettato. Però poi mentre andavo lì ho deciso di caricare tantissimo in dettagli scabrosi, i gesti e tutto, per ottenere una reazione più vera. A un certo momento del film, lei molla i suoi amici per andare a girare con un grande produttore. E’ lì che arriva la svolta e il colpo di scena.

E’ successo davvero?

Ho fatto cose del genere, sì. Quando ho una storia in testa sono un cane da corsa con un coniglio, se sei davanti ti passo addosso facendoti male, e dopo un anno magari mi rendo conto che forse ho esagerato. Questa cosa di me non mi piace per niente, è una sorta di malattia mentale, per fortuna lieve. Sono come posseduto. Se ho una storia in mente, secondo me non solo io ma tutto l’universo vuole che io faccia quello e passo davanti a tutto. Gli altri possono pure morire. L’ho esagerato nel film ma mi sono comportato così davvero con un amico, poi gli ho chiesto scusa. Ma non mi hanno fatto travestire e cantare ‘sono una faccia di merda’ come nel film.

Trattandosi di una storia dal fumettomondo, ha mai pensato di realizzarla con un fumetto invece che sotto forma di film?

No, di solito quando ho in mente una storia già ha il suo pacchetto da utilizzare. L’ho immaginata subito come documentario con le facce dei miei amici e non avrei mai immaginato di disegnarla. Sono forme mentali con punti in comune ma molto diverse.

Come è cambiato l’approccio rispetto a L’ultimo terrestre?

Quello era un sogno che si realizzava. 50 persone, una troupe vera. Dolly, binari, tutto. Ero terrorizzato. Tutti avevano fatto cinquanta o cento film e io ero al primo. Me la sono cavata ma è stato come dare l’esame di cinema. Dovevo solo arrivare in fondo, senza sforare, e tutto si doveva capire. E’ un film forse piatto, senza picchi personali particolari. Qui ci sono le cose che mi piacciono e mi divertono, è anarchico, della serie ‘spacco tutte le regole’ e poi magari le riaggiungo in montaggio ma voglio essere solo libero. Tutto gestito da me e mia moglie che è produttrice esecutiva. Non ho mai sottoposto la sceneggiatura a nessuno, giravo e inventavo.

Sua moglie appare anche nel film, tra l’altro.

Non era convintissima e la capisco, si trattava di prendere tutti i soldi che avevamo guadagnato negli anni e investirli in qualcosa di cui era impossibile conoscere l’esito. Poi non ama troppo apparire, convincerla non è stato facile.

Perché ha aspettato sette anni tra un film e l’altro?

Diciamocelo, L’ultimo terrestre è stato un insuccesso commerciale. Non me lo aspettavo perché a Venezia era stato accolto benissimo, con tanti applausi. Sono stato male e mi sono sentito in colpa. Coi fumetti è diverso, se le cose non vanno bene sono l’unico responsabile. Sapere che qualcuno ha investito dei soldi per un tuo progetto e non funziona peggiora per me le cose. Non sapevo come funzionava il tutto. Però adesso la gente invece comincia a vederlo e apprezzarlo. Comunque, io ho girato dei film tra l’uno e l’altro. Solo che sono ‘illegali’, per modo di dire, cioè ho girato senza autorizzazione quindi sono rimasti nel cassetto. Uno parlava dei testimoni di Geova, l’altro di me che cerco di smettere di fumare, che è stato proiettato una volta a Torino. Smettevo di fumare di colpo e mostravo gli effetti dell’astinenza e diventava una riflessione sul perché fare qualcosa che sai che ti ammazzerà. Tutto girato con la GoPro.

Il cinema lo ha sempre amato, comunque…

Una cinepresa fu il primo regalo di mio padre, quando ero piccolo. Prendevo i miei amici e li rendevo protagonisti delle mie storie. La passione per il cinema per me viene prima ancora di quella per i fumetti. Ho iniziato a disegnare perché ero nato in provincia e vedevo il cinema come qualcosa di irrealizzabile, il fumetto invece lo potevo fare da solo e a costi contenuti, con foglio e penna.

Cos’hanno in comune cinema e fumetto?

Scrittura e ritmo, il resto è tutto diverso. Nel fumetto sei solo come un cane, per uno due o tre anni al tavolino e dipende tutto da te. Sei praticamente Dio, puoi fare tutto, basta avere tempo, voglia e volontà. Tutto costa uguale, dipende solo da te. Inoltre, il fumetto se lo filano ancora in pochi, quindi posso metterci dentro qualsiasi cosa, fare nome e cognome del Ministro degli Interni e scrivere cose orripilanti, metterci le bestemmie. Non se ne accorge nessuno. Ma il cinema è comunque bello, è festa, è condivisione, è stare con gli altri. E’ una specie di vacanza, per me, forse proprio perché lo faccio raramente.

Non ama l’idea di realizzare un film tratto da un suo fumetto?

Quando ho realizzato una storia, per me è finita. Non mi interessa più. Non mi dice più niente, sarebbe come rimettersi con una ex. Per lavorare mi serve il desiderio, più di tutto il resto. Aiuterei invece volentieri qualcuno che volesse trarre un film da un mio fumetto.

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31 Agosto 2018

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