“Nonostante sia arrivato da solo ventiquattr’ore a Shanghai, sono sotto shock. La città è del tutto occidentalizzata, più moderna di New York. Un cambiamento radicale e sconvolgente del paese rispetto alla Cina che ho conosciuto dodici anni fa, quando mi trasferii per un lungo periodo per approfondire la conoscenza dell’arte marziale wushu. Una trasformazione che non mi piace perché vanno perse l’identità e le tradizioni di un popolo”. Giorgio Pasotti risponde al cellulare dalla Cina dove si trova, insieme a Nicoletta Romanoff e altri artisti (leggi la delegazione) per il Shanghai International Film Festival, in particolare per la sezione ‘Sketches of Italy’ che si concluderà domenica con Dopo mezzanotte, il film di Davide Ferrario che lo ha visto interprete. Si tratta di un Focus, su sette tra i migliori titoli della nostra produzione recente promosso da Filmitalia in occasione del “2006 Anno dell’Italia in Cina”. Il pubblico cinese affolla le sale che proiettano i titoli italiani e segue con attenzione, nonostante l’appartenenza a una cultura cosi lontana.
E un cocktail party in onore del cinema italiano si è tenuto presso il Moca Museo d’Arte Contemporanea di Shanghai, un suggestivo edificio in mezzo a uno dei parchi piu belli della città, alla presenza dal console generale d’Italia a Shanghai Massimo Roscigno, del regista Gabriele Salvatores, del presidente di Filmitalia Giovanni Galoppi e del direttore di ICE Shanghai Maurizio Forte.
Pasotti è ancora impegnato sul set di “Le rose del deserto” di Mario Monicelli?
Ho terminato la scorsa settimana le riprese di questa commedia amara nella quale si piange e si ride del nostro egoismo e dei nostri miti, una radiografia impietosa dell’italianità, secondo lo stile tipicamente monicelliano. Marcello, il mio personaggio, è un tenente medico che insieme ad altri colleghi si trova sul fronte libico della Seconda guerra mondiale. Ma a differenza di loro, come il maggiore medico interpretato da Alessandro Haber, Marcello giovane universitario non si trova in Africa per convinzioni fasciste, ma piuttosto per spirito d’avventura. Forte è il suo desiderio di scoprire nuovi popoli e posti sconosciuti, che immortala con la sua fedele Laika sempre a tracolla. Una passione, quella della fotografia, che lo porta a perdersi in paesi affascinanti, ignaro di quei luoghi e inesperto di cosa sia una guerra. A differenza del frate/Michele Placido, molto laico e poco cattolico, che da tempo vive in Libia, e sa più di noi tutti di guerra e di quel mondo.
Lei è anche il protagonista di “Quale amore” di Maurizio Sciarra, che forse sarà in concorso a Locarno?
Un film drammatico, ben lontano dal registro di Alla rivoluzione su due cavalli, precedente opera di Sciarra. Quale amore è assolutamente fedele, nei sentimenti e nelle dinamiche interiori, al romanzo di Tolstoj, “Sonata a Kreutzer”, da cui è tratto. Un libro talmente moderno e senza tempo, che si presenta come uno squarcio feroce d’attualità. Andrea è un personaggio complesso che s’innamora di una musicista, Antonia/Vanessa Incontrada, e cerca di costruire negli anni una famiglia con questa donna che viene da un ambiente molto diverso. Andrea è cresciuto senza l’affetto e un’educazione familiare, e vorrebbe allora ricreare con lei una famiglia, nonostante il dislivello sociale. Il rapporto fallisce perché Andrea è malato di una forma di possesso assurda ed eccessiva, di una terribile gelosia che non ha motivo d’esistere. E la decisione della moglie di riprendere quella carriera musicale, abbandonata per amore del marito, verrà vissuta da Andrea come un ulteriore tradimento.
Ha lavorato anche nell’opera prima “L’aria salata” di Alessandro Angelini?
Tengo molto a questo esordio alla regia da parte di un 35enne che ha scritto una sceneggiatura matura, degna dei più talentuosi autori. Uno script che non scivola mai nella retorica o nella banalità, nonostante la vicenda raccontata: quella di un figlio, il mio personaggio, e di un padre che si rincontrano in carcere dopo 25 anni, in questo luogo difficile e ostile. Sono un educatore impegnato a sostenere i carcerati nel loro percorso di reinserimento nella società che ritrova per caso il padre condannato all’ergastolo dopo una sanguinosa rapina compiuta quand’ero bambino. Un incontro che mette in crisi il rapporto con mia sorella /Michela Cescon che, a differenza del fratello, vuole dimenticare e ha timore di recuperare quell’affetto.
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