#Giffoni54, Padre Paolo Benanti e l’AI raccontata a Papa Francesco

Il teologo italiano del Terzo ordine regolare di S.Francesco è consigliere del Santo Padre sui temi dell'intelligenza artificiale e dell'etica della tecnologia: “Se uno riesce a dar consistenza a un generatore di immagini, chi l’ha realizzato? L'umano. L'AI da sola non fa immagini: la macchina funziona, l'umano esiste”


GIFFONI – 200 giffoners sono l’anima di Impact!, sezione di #Giffoni54 poliedrica e trasversale al cinema in senso puro: in questa filosofia nasce l’incontro con padre Paolo Benanti, teologo del Terzo ordine regolare di San Francesco, consigliere del Santo Padre sui temi dell’intelligenza artificiale e dell’etica della tecnologia.

C’è la questione etica e c’è l’AI, apparentemente due universi distanti, complessi da far dialogare, ma Benanti ricorda che “60mila anni fa usavamo la clava per aprire noci di cocco ma anche per aprire i crani dei nemici: non c’è utensile che non possa diventare arma, ma non c’è arma che non possa diventare utensile, e questo ci dice tanto sulla tecnologia. La tecnologia non è solo fatta di artefatti ma anche di globalità. Quando un artefatto impatta un ambiente sociale produce una conseguenza: se l’AI può decidere sulle nostre vite, l’etica è quel guard rail che tutela l’umanità”.

Quando il Padre era adolescente, negli Anni ’70, “la grande novità era il computer, che ci stupiva e faceva sognare mondi fantastici. Ho fatto ingegneria prima, poi ho cambiato vita, studiando Filosofia e Teologia, fino alla proposta di un dottorato in Etica della Tecnologia con un’inclinazione sull’AI”.

Ma c’è un rapporto tra tecnologia e credo religioso? La questione permette al teologo di ricordare che, anzitutto, “ciascuno è un unico individuo, non divisibile, non compartimentato. Nell’Io di ciascuno c’è la propria storia. La logica del pensiero abita chi si fa domande su quello che abbiamo davanti, sapendo che siamo in ricerca e una risposta arriverà. Io faccio l’attivista dell’AI e quello che dico è che qualsiasi aggettivo sia posto accanto alla parola ‘persona’ ne determini la sua dignità”.

L’intelligenza artificiale viene percepita possedere una forma di potere che si confronta con quello della Religione: “se noi andassimo a leggere il mito di Icaro, che è tutt’altro da quello di Pandora, di cui se tocchi il vaso accade un disastro, il primo racconta che lui non potesse volare né troppo alto né troppo basso, ma qual è la giusta quota? Così, anche per l’AI parliamo di un ‘dipende’ dalle circostanze. Passando alla Genesi, il Signore ci dà il comandamento di coltivare e custodire la terra, che non è depredare: questo universo aspetta il nostro contributo attivo, quindi chiederci cosa significhi vivere questo mandato nella stagione di oggi”.

Nel discorso s’inserisce la riflessione su quale sia la soglia tra uomo e macchina e “forse proprio l’AI generativa fa nascere questa questione. Ogni giorno assistiamo a macchine che si umanizzano sempre più, contemporaneamente comprendiamo sempre più l’uomo come una macchina, penso alle neuroscience. La domanda radicale di questo tempo è: ‘qual è la differenza tra funzionare e esistere?’. Non è una domanda banale e ci interroga su tanti punti di vista: rischiamo di spegnere un uomo che non funziona o di proteggere troppo una macchina”.

L’intelligenza artificiale pone, ancora, la necessità di un discorso sulla verità, questione che si pone in particolare sulla “AI generativa: quando genero un’immagine, devo rendere cosciente le persone se sia una cosa reale o inventata. L’arte o la narrazione usano un immaginario per creare altro: se pretendiamo di dare uno statuto di verità per manipolare è altra cosa. C’è un diritto cognitivo di ciascuno, ovvero sapere se la proposta sia verità o meno. C’è ora un consorzio mondale, C2PA, che prevede di lasciare una filigrana nelle immagini, per permettere di sapere se siano reali o meno. Per esempio, c’è stato un vero bombardamento su Gaza, ma di cui non c’erano immagini: è stata creata un’immagine AI per rendere la cosa notiziabile. È falsa? Non del tutto. È vera? Non del tutto. Questo ci deve far porre riflessioni sul futuro”.

Necessariamente, l’AI riguarda anche il cinema, su più di un fronte e incombe un timore popolare, ovvero che l’intelligenza artificiale possa mandare in rovina l’arte e gli artisti, ma padre Benanti risponde ponendo prima una domanda: “la fotografia ha ucciso la pittura? Ci ha riflettuto Walter Benjamin e io adesso rispondo che l’AI è come la macchina fotografica, è uno strumento che produce un altro valore artistico, ma non è l’artista… non è il pittore che dipinge la colazione sull’erba, scena che la macchina fotografica ha scattato con un clic. Se uno riesce a dar consistenza a un generatore di immagini, chi l’ha realizzato? L’umano o la macchina? L’umano. L’AI da sola non fa le immagini, così come la macchina fotografica. È un’opera creativa di chi inietta l’arte. La macchina funziona, l’umano esiste”.

 

 

 

 

 

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