GIANLUIGI TOCCAFONDO


Essere vivi o morti è la stessa cosa L’Italia a Berlino chiude con Pasolini. Magari sarà una coincidenza ma è bello che sia proprio un omaggio al regista-poeta l’ultimo atto della nostra presenza al festival: forse non ci porteremo a casa grossi premi (almeno questa è l’aria che tira, anche se ha qualche chance Margherita Buy, raffinata interprete delle Fate ignoranti) ma il successo di pubblico e l’interesse degli osservatori stranieri è assicurato.
Anche per un lavoro in fondo complesso e fuori mercato come quello di Gianluigi Toccafondo. Cartoonist con l’animo da pittore, Toccafondo ha portato al festival i tre minuti e mezzo di Essere vivi o morti è la stessa cosa, selezionati insieme ai lavori di Davide Ferrario e della coppia Ciprì & Maresco dall’insieme di corti o mediometraggi per il venticinquennale della morte di Pier Paolo: sei in tutto che la pay italiana ha affidato a registi piuttosto giovani e tutti convinti pasoliniani.
Essere vivi o morti è la stessa cosa Gianluigi, l’unico venuto qui a Berlino, ha 35 anni, è nato in un paese tra Emilia Romagna e Marche, ha studiato a Urbino. Nei festival, dice, si è sempre sentito fuori luogo per una questione di linguaggio: “Ha amato Tarkovski da studente, ma poi soprattutto Lele Luzzati, Roland Topor, i corti di Buñuel o del primo Polanski o magari le comiche e non certo i pupazzi di Disney. Comunque non sono un cineasta e neanche un autore di cartoni animati”.
Pasolini l’ha scoperto attraverso gli story board e le poesie giovanili. “Ho messo insieme La terra vista dalla Luna e questi schizzi suoi con Totò, Ninetto, la Mangano… Ho riguardato Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Cosa sono le nuvole. Mi sono ispirato alle poesie friulane, che già accennavano a scene dei suoi film, e alla Cappella degli Scrovegni di Padova. Pasolini, per me, era come un Giotto del suo tempo”.
Essere vivi o morti è la stessa cosa La pittura, ci racconta, l’ha assorbita dal padre ceramista, l’animazione dalla pittura, perché “ho scoperto che quei disegni contenevano più idee pittoriche dei quadri”. Ha realizzato tantissimo in pellicola: dalla sigla di Venezia con Asia Argento che nuota tra frammenti della storia del cinema alle sigle di vari programmi di Marco Giusti e persino uno spot per la Levi’s fatto negli States nel ’93. “L’unico lavoro di tipo industriale, perché in genere faccio molto da solo, migliaia di disegni a mano, mesi di lavoro e sono sempre frammenti, meteore più o meno impazzite”. Costi ridotti – la pellicola in 35 mm incide più di tutto, il fattore umano è incalcolabile – e produttori di buona volontà. Stavolta Tele+ e Fandango, altrove Arte, che dà molto spazio alla sperimentazione di questo tipo.

autore
16 Febbraio 2001

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