Giacomo Campiotti: gli anni di piombo in tribunale


È Cinema e terrorismi il tema di quest’anno del Saturno FilmFest, che si tiene fino al 28 novembre ad Alatri, in provincia di Frosinone.
Argomento di scottante attualità, in tempi in cui l’ombra delle Brigate rosse si manifesta inquietantemente come uno spaventoso ‘revenant’ e la comunicazione tra Stato e cittadini sembra smembrarsi sempre di più, fino alle estreme conseguenze.
Il cinema di oggi non può ignorarlo: La prima linea di Renato De Maria, tratto dall’autobiografia del terrorista Sergio Segio, non ha mancato di far parlare di sé scatenando polemiche e opinioni contrastanti.
Ma anche il mondo della fiction televisiva dice la sua sull’argomento, e lo fa tramite il film-tv Il sorteggio di Giacomo Campiotti, con Beppe Fiorello e Giorgio Faletti, di cui si presentano al festival 15 minuti in anteprima.

Campiotti, per cominciare, ci presenta un po’ il film.
Il sorteggio non nasce come un mio progetto. La sceneggiatura, originariamente concepita per il cinema, aveva ricevuto una menzione speciale al Premio Solinas e l’ho scelta tra molti altri script perché ho trovato particolarmente interessante il punto di vista del protagonista: una persona comune che prende coscienza di cosa significhino i rapporti tra l’uomo e lo Stato, e impara il confine tra la difesa sacrosanta dei propri diritti e la necessità di adempimento dei propri doveri.

Che cosa racconta “Il sorteggio”?
È la storia di Tonino Barone – il personaggio interpretato da Beppe Fiorello – un operaio della Fiat Mirafiori che, sorteggiato nella giuria popolare al primo processo contro le Brigate rosse, si trova a dover compiere una scelta radicale per la propria vita. Il film si ambienta a Torino nel 1977, era il periodo in cui le Br uccidevano avvocati e magistrati. Per Barone si tratta di mettere a repentaglio la propria vita, già di per sé difficile, per uno Stato che non conosce. Nella sua fabbrica molti fiancheggiano le Br, ma la sua crescita avverrà anche grazie all’incontro con un sindacalista illuminato, interpretato da Giorgio Faletti.

Ha dovuto riscrivere lo script per adattarlo alla tv?
No, l’abbiamo rielaborato per migliorarlo e basta. Per me non c’è differenza tra cinema e tv: la diversità è solo tra film belli e film brutti, tra film noiosi e film interessanti. Cerco solo di raccontare la storia al meglio. Certo, la tv ti impone dei ritmi massacranti: abbiamo girato il film con un budget molto basso, in quattro settimane e due giorni. Per fortuna avevo a disposizione degli attori molto preparati.

Ha avuto modo di vedere “La prima linea”?
No, ma non vedo l’ora di farlo. De Maria è un amico e credo che, al di là dei diversi media che abbiamo utilizzato, il suo sia un lavoro molto diverso dal mio. Quello che caratterizza la mia storia è proprio la visione dell’uomo comune. Di solito i film sul terrorismo adottano il punto di vista del brigatista o quello dello Stato. Il mio racconta la storia di una persona come tante, che vive con la madre e quando può va a ballare il tango. Voglio descrivere come i normali cittadini hanno vissuto quel periodo, un po’ come è successo a me. Ai tempi uno slogan diceva: “Né con lo Stato né con le Br”. Un discorso che sembra qualunquista, ma che costringerà comunque il protagonista a una decisione radicale. Anche stilisticamente ho scelto di fare un film semplice, che parla di leggi, di Costituzione, di cosa lo Stato dovrebbe rappresentare. Il nostro protagonista si chiede “cos’è lo Stato ?” quando si rende conto che per quel concetto così sfuggente deve mettere a rischio la propria vita. Lo trovo un tema sempre attuale: oggi più che mai Stato e cittadini sono lontanissimi, la crisi è evidente.

E lei, il periodo di cui parla, come l’ha vissuto?
Ero giovane, avevo una corrispondenza con un detenuto. Allora era una cosa abbastanza comune. Sapevo che, appena arrivato a Torino, era stato cooptato dalla mala e incastrato per l’uccisione di un gioielliere. Le sue lettere erano molto belle e io le pubblicavo sul giornalino della scuola. Quel detenuto era Giorgio Panizzari, che presto sarebbe diventato un prigioniero politico e il cui nome sarebbe apparso nella lista dei militanti per i quali le Brigate rosse avevano chiesto la liberazione durante il sequestro Moro. La polizia mi è venuta a cercare, proprio per questa corrispondenza che avevo avuto con lui. In quel periodo ero in Grecia per una “fuga d’amore”, nemmeno mia madre sapeva dove fossi e ci fu un momento di panico, perché le autorità pensarono che fossi scappato per motivi politici.

E qual era la sua posizione in merito, invece?
Sono sempre stato un non violento. Il film parla proprio di questo, della follia di chi si arroga il diritto di giudicare chi merita la vita e chi la morte. Gli stimoli per una sana lotta c’erano, ma modi e mezzi usati dal terrorismo furono non solo umanamente inconcepibili, ma anche molto “comodi” per il Potere, che non tardò a strumentalizzarli.

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27 Novembre 2009

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