TORINO – Il tempo. Quello rimasto, quello che verrà e poi verrà guardato come passato. Il tempo sedimenta nelle pieghe dell’esistenza, così come in quelle dei volti, racconta e conserva esperienza.
Daniele Gaglianone ne Il tempo rimasto, co-prodotto da Zalab Film, Rai Cinema e Luce Cinecittà, narra il confronto intrinseco al tempo. È un viaggio, non solo cronologico, alla ricerca dello stesso sul territorio, tra qualche bambino che s’affaccia all’esistenza e anziani che sgranano fotografie in bianco e nero, non raramente versando lacrime indotte dal ricordo, visione che accende un immediato sentimento di malinconia e tenerezza in chi guarda, così come anche pensieri riflettenti sul vivere e sulla fine, includendo inoltre la narrazione di un mondo quotidiano “fino a ieri”, che a volte appare remotissimo, a volte sorprendentemente presente, in cui – forse – una delle testimonianze più simboliche per questa storia filmica è quella dell’anziana ostetrica calabrese, ponte trasversale alle vite con il suo mestiere di far venire alla luce.
“Lo ritengo un film molto intimo, personale, ma l’idea mi è stata proposta da Andrea Segre e Stefano Collizzolli (co-sceneggiatore e produttore esecutivo): forse non è casuale l’abbiano proposto a me, penso a I nostri anni, mio primo lungometraggio, con protagonisti 2/3 signori vecchi, per cui il confronto con la vecchiaia non mi è nuovo. Il tempo rimasto nasce come raccolta di testimonianze per l’Archivio Luce ma, con una sorta di controcanto, abbiamo deciso per un doc, ovvero un racconto che restituisse una dimensione sospesa di come l’essere umano ha vissuto l’avvicinamento al capolinea, una riflessione sul tempo che si è consolidato, al di là della fiducia che qualcosa resti: un desiderio ma anche un punto di domanda, nessuno può dirlo”, spiega Gaglianone.
“Da tempo ci domandavamo come raccontare l’allungamento dell’età, sostenuto dal progresso medico e scientifico, anche se non sempre una vita longeva significa un’esistenza felice. Con il progetto siamo partiti prima del Covid, con la volontà di continuare a raccogliere storie nuove per ‘fare archivio’, per la conservazione della memoria futura. Sono state raccolte 40 interviste integrali, circa 50 ore d’archivio, di persone nate prima degli Anni ’40, che potessero raccontare una vita oggi differente. Siamo particolarmente felici di poter continuare ad arricchire l’Archivio con queste storie, anche con Rai Cinema, con cui abbiamo partecipato anche a Futura (leggi articolo), a dimostrazione del racconto delle generazioni”, commenta Enrico Bufalini, direttore dell’Archivio Storico Luce e curatore di Archivio ‘900, progetto di archivio web che ha raccolto le interviste in 5 Regioni italiane per questo doc e che potrà continuare a crescere con altre interviste in altre Regioni, e anche prestarsi ad un allargamento internazionale, coinvolgendo altri Paesi in un eventuale sviluppo successivo.
Il tempo rimasto ha offerto al regista “la possibilità di ascoltare parole che sembra che la nostra società non voglia più ascoltare; osservare e scrutare volti che la nostra società sembra non voler più vedere. Mai come in questi due anni di pandemia si è parlato di chi ha molti anni sulle spalle e vive una condizione di fragilità; ma, nello stesso tempo, la vecchiaia è sparita dalla nostra quotidianità. L’attenzione alla salute degli anziani ha prodotto un allontanamento dal resto delle persone. Nel film non si parla di emergenze sanitarie e l’attualità non domina il procedere del racconto, tutt’altro. Dopo aver fatto questo lungo viaggio in decine e decine di storie, di ricordi tristi e felici, penso di aver vissuto il privilegio di incontrare un mondo prezioso. Farebbe bene al nostro mondo bulimico, sempre più schiacciato su un presente scivoloso, perdersi in questo tempo sospeso. Sarebbe saggio prenderselo questo tempo di ascolto e di incontro, andando alla ricerca del tempo cristallizzato in una fotografia, in un brillare di occhi, in una risata, in un silenzio”.
Ancora, esemplificativa del concetto di tempo – tra gli altri – la sequenza di Maria, anziana maestra di pianoforte, che per via dei palesi reumatismi alle mani si rammarica che quest’anno non potrà suonare al saggio, ma altrettanto incalza e s’anima con Emanuele, ragazzino-“allievo” non preparato come lei vorrebbe: un momento filmico in cui il tempo si manifesta nei “nodi” delle dita non più dritte e flessuose, ma altrettanto s’attualizza nell’ironia che suscita il suo vivissimo tono con lui. “Abbiamo lavorato con preziosi collaboratori sul territorio e alcuni incontri sono stati di prossimità. Maria era l’insegnante di un compagno di classe di mio figlio. C’è stato un metodo ma ci siamo anche lasciati aperti ad incontri ‘casuali’, che poi tali non sono mai, incontri ciò che ti è più prossimo”, dice ancora il regista. “Il film ha un filo molto esile, che non va cercato: in questo equilibrio, difficile da tenere, abbiamo dovuto rinunciare a cose che ci hanno fatto sanguinare, che speriamo di recuperare in prossimi progetti che potrebbero nascere da questo. È uno dei miei film più personali, rispecchia il mio stato d’animo attuale. Può sembrare paradossale ma questo è un film su dei bambini, infatti il film chiude quando arrivano ‘alla maturità’, non racconta quando emigrano… Spero, grazie a questo, possa dialogare con le nuove generazioni: lo immagino bene a girare per le scuole elementari, ci sono racconti che vanno ricordati, e fin da piccoli, perché il Boom Economico ha dato per scontate troppe cose. È un film intimo ma anche di riflessione politica sull’attualità”.
Un film, questo, che potrebbe evocare alla mente lo spirito delle storiche inchieste di Luigi Comencini, anche se Gaglianone non conferma l’ispirazione: “seppur sia una risposta poco razionale, perché certamente le abbiamo viste e apprezzate a suo tempo, ma non c’è nessun riferimento consapevole; però ci penserò, magari da qualche parte, senza saperlo…”.
Il tempo rimasto di Daniele Gaglianone, in anteprima al Torino FF Fuori Concorso Incanto del Reale, esce nelle sale dal 20 gennaio distribuito da ZaLab Film.
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