Gagarine, alla ricerca di una nuova comunità

Il cosmonauta sovietico Juri Gagarin, primo uomo nello Spazio, è un po' il nume tutelare di Gagarine di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh, visto ad Alice nella città e in sala con Officine UBU


Il cosmonauta sovietico Juri Gagarin, primo uomo nello Spazio, è un po’ il nume tutelare di Gagarine di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh, visto ad Alice nella città e in sala con Officine UBU. Perché è stato proprio lui a inaugurare alla periferia di Parigi Cité Gagarine, un conglomerato di case popolari che ha ispirato l’opera prima dei due registi francesi con l’esordiente Alseni Bathily protagonista accanto a Lyna Khoudri.

Siamo alla periferia Sud della capitale, l’enorme complesso residenziale, un tempo simbolo di modernità e progresso, sta per essere demolito dopo anni di degrado. Tra le 370 famiglie in attesa di essere assegnate ad altre abitazioni c’è il sedicenne Youri, una sorta di custode del luogo. Mentre gli appartamenti si svuotano e le ruspe lavorano incessantemente, il ragazzo senza famiglia ma generoso e pieno di slancio, insegue il sogno di vivere su una sorta di astronave galattica.

“Arrivati da poco a Parigi dalla provincia nel 2014 – racconta Fanny Liatard – alcuni amici architetti ci hanno parlato di Cité Gagarine chiedendoci di girare un documentario. Siamo rimasti impressionati dall’architettura, è un edificio alto e lungo, sembra una navicella spaziale. Abbiamo cominciato realizzando un corto di 15’, ma poi abbiamo continuato, finché il ritrovamento delle riprese della visita di Juri Gagarin, filmato realizzato dal Partito comunista dell’epoca, ci ha portato a contatto con le utopie della banlieue rossa e la gioia delle persone che finalmente potevano avere alloggi con il riscaldamento e l’acqua calda e spazi dove vivere insieme”.

“Abbiamo mescolato attori e persone che non avevano mai recitato prima – spiega Jérémy Trouilh – per esempio Lyna Khoudri ha vinto un Céesar, mentre Alseni Bathily è alla sua prima prova. Ci piace unire cinema e vita reale, come abbiamo fatto nella scena dell’eclissi e in quella finale con tante persone che abitavano lì in passato e che sono tornate per il film”.

In molte opere viste alla Festa, da Punta sacra a Herself, si trova un forte bisogno di comunità, di superare l’individualismo dei nostri tempi per costruire una nuova solidarietà tra le persone. “Sì – ammette Jérémy – volevamo rendere omaggio a un collettivo che nel caso di Cité Gagarine è stato separato, ma che è sempre una forza enorme. Le persone della banlieue, le donne soprattutto, ci hanno colpito. Il protagonista viene da una famiglia un po’ lacunosa, ma si trova dentro una famiglia allargata dove tutti coloro che lo circondano si prendono cura di lui e il vivere insieme si alimenta e valorizza l’immagine di queste persone. Tutti dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri”.

Gli ex abitanti del complesso non hanno ancora visto il film, a causa del coronavirus, ma il 6 novembre dovrebbe esserci un’anteprima. “Quando Gagarine è stato selezionato a Cannes avevamo promesso di portare il tappeto rosso a Cité Gagarine e speriamo di farcela davvero”, dicono i due autori. Che rivendicano uno sguardo poetico eppure ancorato al reale. “Siamo stati in Colombia e Perù – raccontano – sono esperienze che ci hanno segnato profondamente. Cerchiamo uno sguardo realistico ma che ci porta anche un po’ fuori, che scivola nella magia, qualcosa che abbiamo ritrovato nella capacità di resistere in modo poetico e gioioso delle persone di Cité Gagarine. Volevamo raccontare la bellezza dei sogni di una gioventù che non viene mostrata abbastanza. Se i giovani delle banlieue sono valorizzati e incoraggiati, possono fare tante cose e andare oltre gli stereotipi”. 

Gagarine ha appena vinto l’Explore Zone Award al Festival di Ghent. 

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23 Ottobre 2020

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