VENEZIA – 627 italiani da 0 a 104 anni sono i protagonisti e gli autori di Italy in a day – Un giorno da italiani. E i titoli di coda li citano tutti, uno per uno. Film collettivo anche se con una forte impronta d’autore, quello che Gabriele Salvatores ha portato al Lido, fuori concorso, prodotto da Indiana Productions con Rai Cinema. L’idea arriva da Ridley Scott, che ne aveva già fatto, con Life in a day, una versione internazionale: chiedere alle persone comuni di accendere telecamere, smartphone e telefonini sabato 26 ottobre 2013. All’appello hanno risposto in tantissimi: sono arrivati 44.197 video, oltre 2.200 ore di messaggi nella bottiglia. Un censimento delle emozioni a cui il regista premio Oscar, che domani riceverà a Venezia il Premio Bianchi del Sngci e mostrerà alcune immagini del nuovo film Il ragazzo invisibile, ha dato un ritmo e una direzione. Il risultato è un documentario a tratti divertente, a tratti commovente, che ritrae tanti momenti della giornata, dal risveglio al tramonto: momenti privatissimi e collettivi. Dalle manifestazioni di piazza all’incontro tra un figlio e l’anziana mamma malata di Alzheimer, dal medico che cura i bambini cardiopatici in Africa al testimone di giustizia che si è ribellato contro l’estorsione e vive segregato in casa a Palmi. Ci sono le nascite e la morte, una proposta di matrimonio e vari compleanni. Un uomo che non esce più di casa da quando sta in pensione e gli appassionati di parapendio.
Su tutti “veglia” l’astronauta italiano Luca Parmitano che volteggia sulle nostre teste dallo spazio.
Sì, è un leit motiv del film insieme alla ragazza che tiene la testa sotto la coperta e al giovane che sta viaggiando nell’oceano su una nave carica di container. Anche quella è un’astronave. E dentro c’è la mia passione per il viaggio.
Cos’hanno di speciale queste immagini?
Ci sono alcune riprese che non avrei potuto realizzare nella finzione. Come la mamma malata di Alzheimer che parla con il figlio, che si chiama Gabriele come me. Questa è la forza dell’esperimento, toccare la realtà delle cose. Ma non basta avere una macchina da presa per fare il regista, devi avere uno sguardo. Lo sguardo è il montaggio, è quella l’anima di un film. In un tempo come il nostro in cui le immagini riempiono tutti gli spazi, il montaggio fa la differenza. Per questo sono contento che oggi a Venezia venga premiata la più grande montatrice contemporanea, Thelma Schoonmaker.
Cosa avete eliminato e perché?
Le cose tecnicamente sbagliate e le cose finte, costruite. Mi aspettavo più trash, come si vede sui social network. Mi aspettavo più rabbia, invece ce n’è poca. E poi colpisce l’assenza totale dei ricchi. Forse è il sintomo di un paese in cui ognuno lotta per sé.
È un’Italia segnata dalla crisi ma non sconfitta.
Non è un’Italia che si piange addosso. C’è un’immagine di futuro. È un’Italia ferita e sofferente, però con dignità. Ci sono i tanti giovani costretti a emigrare all’estero. La crisi economica fa nascere dei demoni, delle paure e porta a stare attaccato al proprio orticello. Ma le persone non sono depresse. Semmai il rischio che corriamo è l’l’indifferenza, il chiudersi tutti nel proprio bunker antiatomico.
Italy in day è molto diverso dalla versione di Ridley Scott?
Quello andava più nella direzione di Koyaanisqatsi, con un montaggio rapido, videoclipparo. Noi abbiamo cercato di stare legati alle storie delle persone piuttosto che agli effetti e alla spettacolarità.
Le piace la definizione che ha dato qualcuno di selfie degli italiani?
Non sono d’accordo. Qui non c’è la voglia di mostrarsi, ma quella di raccontare. Pensate che Ridley Scott ha ricevuto 15mila filmati da tutto il mondo, mentre noi ben 44mila. Allora o noi italiani siamo esibizionisti o abbiamo tanta voglia di raccontarci.
Come avete coinvolto l’astronauta Luca Parmitano?
Durante il lavoro di preparazione, in cui la produzione ha contattato le carceri e gli ospedali per avere le liberatorie, abbiamo sentito anche lui. Mi è piaciuto molto Gravity e volevo avere queste immagini dall’alto che ci ricordano quanto siamo piccoli. Ci sono 150 milioni di galassie, noi a paragone siamo pulviscolo, ma se ti avvicini alle persone le storie di ognuno sono fondamentali.
Perché avete scelto proprio la data del 26 ottobre?
Era un sabato, il sabato è un momento di pausa in cui c’è tempo di raccontare qualcosa di te. In un giorno feriale avremmo avuto più filmati sul mondo del lavoro.
Non ci sono immagini girate da lei?
No, per pudore. Anche il fatto che molti video si rivolgessero direttamente a me, mi ha fatto un po’ paura e ho scelto di non metterli.
Cosa pensa della rete?
Già in Nirvana nel ‘96 parlavo della rete, quando ancora nessuno sapeva bene di cosa si trattasse veramente. Allora avevo una grande fiducia in questa terra aperta, invece è diventato un supermercato. Nel web c’è una falsa libertà. Non credo nella democrazia diretta, non credo che il pubblico abbia sempre ragione e neppure che basti avere una chitarra per essere un musicista.
Pensa che il film abbia qualcosa da dire anche ai politici?
Sì, vorrei che qualche politico lo vedesse. Perché le persone chiedono la possibilità di una vita dignitosa ed è quello che dovrebbero fare i politici. Tutti abbiamo diritto alla felicità a livello sociale. Avevano ragione le femministe quando dicevano: vogliamo il pane ma anche le rose. Puoi risolvere il problema del PIL, ma se manca l’immaginazione, il desiderio di infinito per dirla con Martone, non serve… Desideriamo cose a volte necessarie ma anche troppo piccole. Bisogna desiderare di volare, altrimenti la vita diventa pura sopravvivenza.
Come sarà distribuito il film?
Uscirà nelle sale come evento martedì 23 settembre, con 01 Distribution, per essere poi messo in onda da Raitre in prima serata sabato 27 settembre. Stare solo un giorno in sala è una possibile immagine del futuro del cinema. Ci sono tanti pubblici e i ragazzi non guardano più la tv e neanche Sky, bisogna pensare delle alternative.
Vorrebbe continuare questa ricerca?
Sì, forse vorrei far raccontare l’Italia dagli stranieri.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre