Gabriele Salvatores


“Sento parlare di crisi del cinema da quando avevo 14 anni… il problema è anche l’amore che non abbiamo verso i nostri film. Storicamente”. Gabriele Salvatores debutta in concorso a Venezia a 50 anni appena compiuti, con un Oscar già conquistato e una carriera decisamente consolidata. È evidente la svolta. Perché Denti– ancor più di Nirvana – chiude con la commedia e sceglie un cinema visionario, così poco italiano da spiazzare, coraggioso come può esserlo un horror stomatologico sull’ossessione d’amore e di gelosia. E soprattutto scopre il femminile: tre donne sono tante per l’autore di Mediterraneo e Turné. Uno che finora ha raccontato i maschi che non vogliono crescere. Ma stavolta ci mostra perché è andata così e perché non necessariamente sarà sempre così.
“Denti” è un film coraggioso e disturbante: molti sono usciti tenendosi la bocca e giurando che mai più prenderanno un appuntamento dal dentista…
Sì, è un film particolare. Richiede un’adesione sentimentale: o ci stai o non ci stai. È anche il più indifeso dei miei film. Diceva Fellini di Otto e ½: è come un ubriaco che ti parla della sua vita alle tre di notte, può darti fastidio o appassionarti, dipende da te.
In che senso è il più indifeso?
Già il titolo, Denti, crea problemi a molti, anche gente di cinema. Ma forse, proprio per questo, aveva senso tentare il concorso. Continuare sulla linea di Mediterraneo: quella sarebbe stata la furbizia, ma non puoi prenderti un Oscar senza mai ridare indietro qualcosa. E poi questo è un film pieno di riflessioni sul cinema.
Quali?
Agli inizi il cinema era una finestra sul mondo: bastava filmare l’arrivo di un treno in stazione, gli operai all’uscita dalla fabbrica… oggi questo lo fa la televisione, anche se lo fa male. Al cinema tocca filmare l’invisibile, come nel mito della caverna di Platone. E l’invisibile è anche Rosetta, naturalmente. Oppure la mutazione del corpo.
Perché dici che l’amore fa più paura di tutto?
Non vale per tutti e neppure io lo pensavo, fino a qualche tempo fa. Ma l’amore può davvero essere uno stato alterato della mente, una delle porte della percezione di cui parlava Aldous Huxley. Parlo dell’amore come dipendenza, però, e dell’amore non come libertà reciproca.
Consideri Mara un personaggio negativo?
No. Il fatto che rompe i denti al protagonista è una cosa positiva, una liberazione. A volte bisogna passare attraverso la morte e l’abbandono per rinascere. Il dolore è necessario ma non in senso cattolico. Il dolore trasforma.
Il film parla della crescita, del diventare adulti…
Sì, lasciar perdere le protesi e tirare fuori i denti definitivi. Ho cercato di dirlo in modo emozionale e non psicoanalitico.
Ma il discorso sul ritorno del rimosso attraverso le sensazioni fisiche è in realtà molto psicoanalitico.
Non so, è anche proprio della medicina naturale, dell’omeopatia, per esempio. Di certo il nostro corpo è abitato, in esso si depositano molte cose, esperienze.
Ti fanno paura i dentisti?
Mi fanno più paura i biologi. Anche se sulla clonazione istintivamente non ho dubbi, se serve a salvare la vita di un essere umano adulto. La genetica comunque mi affascina: ne parlerò con Cromosoma Calcutta, un progetto da 30 miliardi, difficile da mettere in piedi. In alternativa ho un’altra piccola storia in cantiere.
“Cromosoma Calcutta” è un romanzo di Amitav Ghosh, “Denti” è ispirato a Starnone. Senti di averlo molto cambiato?
Credo di aver estratto dal libro la cosa che più mi faceva paura e che aveva intimorito anche Domenico. Comunque ho cambiato il finale. Alla fine lui torna a casa e lei gli spacca di nuovo i denti, ma non me la sono sentita. Era troppo.

autore
02 Settembre 2000

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