“Mr.Clean”, il soprannome che la critica scelse per Roy Halston Frowick, creatore di moda dallo stile essenziale, pulito, raffinato quanto rigoroso: secondo Karl Lagerfeld “Il primo della nuova generazione di stilisti a creare il vero stile americano”, e, per l’amico Andy Warhol,“la forma d’arte degli Anni ’70”, in riferimento alla messa in opera delle sue sfilate.
Le stelle Halston le toccò in una notte, con un cappellino pillbox azzurro pastello: lo indossava Jacky Kennedy all’inaugurazione presidenziale nel 1961 e così, dalla modesta nascita nel MidWest americano, Roy Halston cominciò a vestire l’America, infatti lo Chemisier #704 in Ultrasuede, creato nel ’72, fu iconica divisa di milioni di signore americane. Halston inaugura la sua Maison nel ’68, periodo in cui il mitico Studio 54 di New York era il cuore vulcanico del glamour Anni ’70, “sesso, droga e rock’n’roll” a tutto tondo, in cui eccesso, ambizione, vita notturna da capogiro, hanno abbracciato il genio creativo, colui che ha impersonificato la rivoluzione sociale e sessuale del ‘900, l’uomo che nell’ ’83 si vide costretto a abbandonare il leggendario 21° piano dell’Olympic Tower a Manhattan, il suo appartamento, spazio in cui pullulavano lusso e sregolatezza, a quel punto in completa decadenza: la cessione del suo marchio alla Norton Simon Inc. scrive il suo destino prossimo. Un passaggio estremo, dal luccichio acciecante dell’apice, il lato platinato della sua biografia, alla discesa nel buio della stessa: Halston, di lì in poi, visse in un esilio autoimposto, lasciando questo mondo nel 1990, a 57 anni, per complicazioni da HIV.
E così, da questa storia personale e sociale dalle sfumature molteplici e segnata da un vortice da montagna russa, Frédéric Tcheng, già autore di Valentino: The Last Emperor e Dior & I, ha scelto la via dell’indagine per raccontare l’uomo, l’artista, la luce e il nero di Halston, usando proprio solo il cognome del designer come titolo del suo film, in anteprima internazionale al Sundance Film Festival 2019, e in anteprima italiana al Fashio Film Festival Milano, di cui è ospite anche con una Conversation, con Gloria Maria Cappelletti, curatrice della manifestazione.
Tcheng, con la collaborazione della blogger Tavi Gevinson, che nel film interpreta una giovane archivista, ha composto il racconto tramando e filando filmati d’archivio e interviste con amici, famiglia, collaboratori, tra questi la nipote Lesley Frowick, Liza Minnelli, Joel Schumacher: “la voce narrante del film è Tavi, che ci accompagna per tutto il viaggio. Lei è molto giovane ma questo è importante perchè i giovani non sanno di lui come dovrebbero. L’eredità di Halston è stata cancellata, distrutta dalla corporate che ha eliminato gli archivi, per cui è molto difficile reperire tutti i materiali, che appaiono oggi molto frammentati”.
Quello di Frédéric Tcheng è stato un processo creativo che: “voleva essere non solo una storia di moda, ma di famiglia e di come la famiglia diventi un colosso finanziario. Il business di famiglia diventa una grande corporate, viene venduta, e il mondo delle finanza prende il sopravvento su quello della creazione. È stato un processo creativo lungo, che ha visto anche la produzione di Amazon, una grande squadra e un gruppo di editing. All’inizio pensavo che tutta la sua vita fosse solo ‘party e Studio 54’, poi mi sono ricreduto. Ho fatto un lavoro di ricerca sui suoi primi anni, per capire com’era un giovane designer in America negli Anni ‘60, cresciuto durante la Grande Depressione, non di NY ma nato nell’Iowa, in mezzo al nulla. Come, quindi, si sia creato da zero una personalità e un impero”, spiega il regista dello studio e approccio alla biografia del suo protagonista.
“Halston” – continua Tcheng – “è stato il primo a collaborare con un grande magazzino: un fautore del nuovo mondo. Ha inventato il prêt-à-porter ed è stato un grande ottimista: il suo motto era ‘Yes To Life – Sì Alla Vita’, come cantava Liza Minelli, sua grande amica. Per me è un artista, lo Steve Jobs del design: la sua moda era estetica pura, ha trasformato il modo in cui i vestiti sono fatti; la moda non viene più da Parigi e non lavora contro il corpo, ma con il corpo, usando drappeggi; le modelle dicono che con i suoi vestiti era come essere nude, i suoi sono abiti che liberano”.
Roy Halston Frowick, è stato un “visionario, ha pensato a tutti i corpi delle donne: una modella di taglia forte, musa di Warhol, ha calcato la passerella per Halston; è stato il primo a usare modelle di colore, ha precorso i tempi ma senza parlarne, ha agito e basta”.
15 le categorie che la Giuria – tra i membri anche Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà – ha onorato del premio, realizzato in digitale da Fornasetti: per l’Italia, premiati anche Franchetti e Sapeha, Tommaso Ottomano e Byron Rosero. La premiazione trasmessa all’interno del MIAC - Museo dell’Audiovisivo e del Cinema di Cinecittà
Il film di Andrea Servi e Swan Bergman, Elio Fiorucci – Free Spirit, dedicato allo stilista e imprenditore milanese, quale opera di chiusura della manifestazione cinematografica e della Fashion Week milanese: la storie dell’icona pop degli angeli rinascimentali, del concept store di San Babila e di Andy Warhol a NYC in streaming gratuito
Chiara Sbarigia tra le ospiti dell’incontro digitale #FFFMilanoForWomen – Women in Film, a sostegno del talento femminile nell’audiovisivo. La premiazione - Digital Awards FFFMilano trasmessa all’interno del MIAC - Museo dell’Audiovisivo e del Cinema di Cinecittà
Il documentario Elio Fiorucci – Free Spirit chiuderà l’ottava edizione del Fashion Film Festival di Milano, in programma dal 14 al 18 gennaio con oltre 260 titoli in concorso provenienti da 60 nazioni