Donne che aprono la porta al loro assassino. “Molti delitti irrisolti in Italia sono avvenuti così. E questo è stato lo spunto di partenza per il mio romanzo Voci“, dice Dacia Maraini.
E Voci è anche il titolo del film di Franco Giraldi, maestro del cinema di genere all’italiana.
Passato dallo spaghetti western (il suo esordio risale al 1965 con Sette pistole per i Mc Gregor) alla commedia (La bambolona, 1969) e alla fiction tv (Mio figlio non sa leggere) ora si cimenta con un giallo al femminile ricco di doppifondi ma piuttosto diverso dal best seller della scrittrice.
“Io e Franco abbiamo litigato affettuosamente per i cambiamenti apportati alla storia. Io avevo centrato tutto sul rapporto di odio-amore tra la ragazza uccisa e la figura paterna lui invece si è concentrato sulla gelosia tra donne” spiega Maraini che però smorza le polemiche: “Ma ciò rientra nella libertà di interpretazione e apprezzo molto il film”.
La pellicola, interpretata da Valeria Bruni Tedeschi, Miki Manojlovic (attore cult di Emir Kusturiza in Underground e Gatto nero Gatto bianco), Sonia Bergamasco, Gabriella Pesson e Gabriele Lavia, è coprodotta da Factory e Rai Cinema.
Distribuita da Lantia e Istituto Luce, uscirà venerdì 10 maggio.
Allora Giraldi, perché tanti cambiamenti rispetto al romanzo?
Quando la produttrice Mariella Li Sacchi mi ha proposto di girare il film ho studiato a fondo il libro della Maraini. Insieme agli altri sceneggiatori ho scritto una prima stesura fedele al romanzo. Ma dal punto di vista cinematografico non era soddisfacente: l’ambientazione era troppo legata agli anni Ottanta. Così per far risaltare il nucleo centrale, la violenza sulle donne e i vari modi in cui si esplica, ho trasferito la vicenda da Roma a Genova, una città ambigua, di passaggio, e ho cambiato i personaggi secondari. Nella storia anche il tema della disattenzione è fondamentale. Nell’epoca del voyeurismo indotto siamo incapaci di leggere dietro gli sguardi e i sorrisi. Michela, la protagonista di Voci, dopo la morte della sua vicina di casa, si sente in colpa perché capisce di non saper nulla di lei e comincia ad indagare sul delitto.
Lei ha cambiato anche l’identità dell’assassino…
Si. Dacia Maraini non era d’accordo ma se fossi rimasto fedele al romanzo nel film si sarebbe individuato subito il colpevole dell’omicidio e avrei trasgredito le leggi del giallo. La scelta di cambiare il finale e l’identità dell’assassino non ha nulla a che vedere con ragioni ideologiche o sociologiche ma solo con le esigenze del plot. D’altronde il linguaggio cinematografico è profondamente diverso da quello letterario. Pensate alle pagine di Manzoni dell’Addio ai monti: sono meravigliose ma nel cinema si traducono con una semplice panoramica sul lago di Como.
Come ha scelto la protagonista Valeria Bruni Tedeschi?
Ammiro molto Valeria da quando l’ho vista in La seconda volta e La parola amore esiste. Così ho pensato subito a lei per il ruolo di Michela. E’ perfetta nell’interpretazione di questa donna dal carattere introverso che si contrappone alla solarità prorompente di Angela, la ragazza uccisa. La molla segreta del film è un universo femminile multiforme. E’ stato davvero un piacere muoversi in un mondo così variegato.
Che fine ha fatto il cinema di genere italiano?
Non esiste quasi più perché è stato sostituito dalla tv che però, dal punto di vista qualitativo, è decaduta a causa dell’anomalo duopolio che la governa in Italia. Nel nostro paese fioriscono scommesse artistiche riuscite di giovani autori, penso a registi come Marra, Sorrentino, Di Majo, Porporati e De Lillo, che però fanno fatica a stare nelle sale per più di una settimana anche se lo meriterebbero. Ma, come ripete da anni Callisto Cosulich, ci manca un cinema medio, il cinema di genere appunto, e ce ne sarebbe un gran bisogno.
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