Per gentile concessione della rassegna di Assisi “Primo piano sull’autore”, pubblichiamo uno stralcio dell’intervista realizzata da Alessandra Levantesi per il catalogo e intitolata “C’era una volta un futuro regista…”.
Si può dire che tu hai cominciato a riflettere sui punti nevralgici della società italiana non partendo da un’idea di denuncia, ma da una voglia di penetrazione del reale.
Esatto. Sono partito dall’idea di comunicare allo spettatore attraverso il cinema, che è uno strumento di comunicazione fortissimo, la necessità di riflettere sulle particolarità della nostra società, soprattutto di quella meridionale che conosco bene e mi sta particolarmente a cuore. E in effetti se pensi ai miei primi film… I magliari parla del problema della minoranze emarginate in Germania, minoranze per lo più meridionali che andavano all’assalto di un paese ricco e potente nonostante avesse perso la guerra. Poi viene Salvatore Giuliano che porta sullo schermo la tragedia di un popolo. Perché Giuliano non è la storia di un personaggio: il personaggio è un pretesto per raccontare la tragedia della Sicilia, di un popolo che vive sotto la mafia e il latifondo. Nonostante le difficoltà che pensavo avrei dovuto affrontare e che invece ho trovato solo in parte, ho girato sui luoghi veri – a Portella della Ginestra, Montelepre, Castelvetrano – e possibilmente anche con la partecipazione di personaggi che avevano vissuto questa storia. Ho avuto anche un prezioso aiuto da Tullio Kezich, che era venuto per scrivere un libro sul set ed è stato a tutti gli effetti un collaboratore. Poi con Le mani sulla città ho messo il dito su un altra piaga che non è quella della speculazione edilizia, come molti dicono. Le mani sulla città è un film su una commissione d’inchiesta che fa in modo di non fare l’inchiesta e tutto si svolge all’interno del consiglio comunale. Ho preso come piccoli attori o comparse le persone che rappresentavano la destra, la sinistra e il centro e li ho messi a recitare, per cui quando c’erano le scene di opposizione loro facevano sul serio, erano totalmente immedesimati. Tra l’altro è il primo film che è stato fatto sul conflitto di interessi perché Nottola, che è un imprenditore edile, riesce a diventare assessore all’urbanistica. Lui non si fida se non dei lavori che lui stesso può dare alle sue società.
Sei come un detective che indagando scopre il marcio, la tua è una specie di inchiesta.
Quello che si può dire è che i miei film sono strutturati sul metodo dell’inchiesta, ma non si tratta di un’inchiesta giudiziaria bensì di un’inchiesta volta a cercare di capire dove si nasconde la verità e a tentare di afferrarne qualche brandello. In modo che io per primo, e il pubblico dopo, si possa riflettere su un sistema di potere corrotto che ha molta responsabilità su come va avanti questo paese da secoli.
Ma questa esigenza di riflessione sulla realtà, che è scomoda e conduce allo sdegno, ce l’avevi anche da ragazzo?
Francamente non posso dire che a 12, 13 anni avevo la passione per la verità. In tutti i casi il mio è un percorso della ragione: con i miei film non pretendo di dire la verità, aspiro a mostrare il quadro nel quale sono accaduti certi avvenimenti a un pubblico al quale chiedo di essere un interlocutore attivo con la voglia di partecipare. La mia aspirazione è che quando va a casa lo spettatore continui a pensare a quello che ha visto. Questo è il percorso dei miei film, che dal primo all’ultimo sono tutti originati da mie scelte. Con l’eccezione di Carmen e C’era una volta, anche se a pensarci bene sono stato io a portare C’era una volta dalle parti di “Lo cunto de li cunti” del grande Basile. All’inizio il film era concepito per la coppia Loren-Mastroianni, ma Sofia è rimasta incinta, si è perso del tempo e dopo Marcello era indisponibile. Senza di lui, che era un attore realistico, la favola è diventata molto più favola. Omar Sharif l’ha resa più favola.
“Cadaveri eccellenti” racconta un’inchiesta vera e propria.
Sì, ma come ti dicevo tutto il mio cinema è strutturato a inchiesta. Cristo si è fermato a Eboli, Tre fratelli, Dimenticare Palermo che altro sono se non inchieste sulla meridionalità? Pure La tregua è un’inchiesta, un’inchiesta sul modo di venir fuori da quell’ira di Dio che è un campo di concentramento e di tornare piano piano, passo dopo passo alla vita. E sono tutti film che conservano una loro attualità perché nel nostro paese i problemi restano sempre quelli, non si risolvono mai. Mafia, camorra, collusioni con i poteri forti: cambiano le modalità ma il quadro rimane immutato. Il probabile motivo per cui ho smesso di fare cinema è che su questa realtà ho detto tutto quello che avevo da dire. Non dico di non aver più fatto film per scelta, perché la scelta presuppone una consapevolezza, ma comincio a credere che non sia stato un caso. In questi dieci anni mi sono venute varie idee, ci sono due o tre film che ho anche preparato, come scrittura intendo. Però non ho insistito su questi progetti e tutto sommato quando qualcuno non insiste significa che non è convinto fino in fondo. E io se non sono convinto fino in fondo non mi attivo, non mi interessa fare un film tanto per fare un film. Così ho preferito tornare al teatro. Ma sono tornato al teatro con delle commedie di Eduardo De Filippo che praticamente mi permettono di continuare il discorso che ho sempre fatto con il mio cinema. “Napoli milionaria”, “Le voci di dentro” e “Filumena Marturano”, che metterò su la primavera prossima, sono tre commedie inserite nella problematica dell’immediato dopoguerra, parlano delle conseguenze tragiche della guerra nella vita di tutti i giorni. Di “Napoli milionaria” anzi avevo proposto alla Rai di fare un film. Niente: mi hanno tenuto in sospeso per due anni e poi mi hanno detto che c’era già Napoli milionaria di De Filippo. Ma il mio film sarebbe stata un’altra cosa. Intanto volevo attenermi filologicamente al testo come è mia abitudine quando faccio teatro. Rispetto l’autore ed Eduardo è un grande autore, che però sullo schermo ha tradito se stesso perché ha accettato alcuni cambiamenti, come l’inserimento di un personaggio per Totò. Per carità, due geni della recitazione messi insieme, va benissimo, ma io volevo rispettare il testo e incapsularlo così com’è nella realtà della Napoli occupata dagli americani. In quei quartieri storici e popolari…
…dove tanti anni fa un certo adolescente si aggirava con il baedeker come un turista tedesco…
…e come li ho ritrovati tornando dalla guerra. Se mi avessero fatto fare il film da “Napoli milionaria” avrei finalmente realizzato il sogno di “La galleria”, il film che avevo sceneggiato con Amidei.
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