Francesco Patierno: “Camorra, una Napoli diversa è possibile”

Si intitola semplicemente Camorra il bel documentario di Francesco Patierno visto al Lido in Sconfini. E' un film di soli materiali d'archivio (le Teche Rai) con l'ausilio della voce narrante di Meg


VENEZIA – Si intitola semplicemente Camorra il bel documentario di Francesco Patierno visto al Lido in Sconfini. E’ un film di soli materiali d’archivio (le Teche Rai) con l’ausilio della voce narrante e delle musiche di Meg dei 99 Posse. Un film preciso nel centrare l’obiettivo: raccontare cosa è la camorra, al di là delle spettacolarizzazioni e semplificazioni, al di là di Gomorra dunque. Prodotto da Todos Contentos Y Yo Tambien con Rai Cinema, conferma il talento del cineasta napoletano per un uso del documentario storico molto raffinato e dagli echi nel contemporaneo come in La guerra dei vulcani e soprattutto Naples ’44. Qui racconta la Napoli tra il 1960 e il 1990 e lo sviluppo della criminalità organizzata anche attraverso il lavoro dei cronisti dell’epoca, come Joe Marrazzo, Luigi Necco e Gianni Bisiach, un giornalismo dai ritmi lenti e riflessivi, oggi quasi impensabile.

Patierno, lei ha perfezionato in questi anni uno stile narrativo che parte dal documentario per costruire una narrazione storica e critica vivace ma anche profonda. Ci spiega in che modo lavora?

Da anni non faccio differenza di formato ma piuttosto di struttura, per me questi lavori equivalgono a film con la differenza che viene usato materiale di repertorio, ma la struttura drammaturgica è cinematografica, e solo alla fine ti rendi conto della differenza. E’ un discorso che sto sperimentando, sulla manipolazione delle immagini a fin di bene, le immagini acquistano una nuova purezza, rivivono cambiando la portata del loro contenuto. La guerra dei vulcani, Diva, Naples ’44 sono film che nascono anche dalla mia esperienza di pubblicitario: a volte non c’era budget sufficiente per le riprese e si usava materiale di repertorio, così mi sono reso conto della potenza di questo metodo.

Come ha messo a fuoco il taglio del racconto? Di camorra si può parlare in molti modi diversi e ci sono diverse fasi del crimine organizzato a Napoli.

Ho avuto subito chiaro il periodo che mi interessava, ciò quello che va dagli anni ’60 all’inizio degli anni ’90, quando nasce la nuova camorra, di cui nel film viene spiegato il meccanismo. Mafiosi siciliani di un certo peso vengono mandati in soggiorno obbligato a Napoli e iniziano a finanziare famiglie camorristiche campane a cui impongono la loro struttura verticistica, perché prima la camorra era anarchica e non aveva un vertice. Inoltre dall’hinterland e dalle campagne si spingono in città e cercano un contatto con la politica.

Una figura chiave è quella di Cutolo, tra l’altro raccontato attraverso delle interviste in cui si rivela un abile e spiazzante comunicatore e mistificatore, con una sua lucida follia.

Cutolo è il primo camorrista che vuole affrancarsi dalla mafia. Qui il passato si rivela come uno specchio per raccontare il presente. L’uso che Cutolo fa dei media è infatti assolutamente attuale, in tempi di social network, lui costruisce il suo personaggio attraverso i media, allude, lancia messaggi in codice, dice la verità negandola. Mi interessava ristabilire uno sguardo reale sul personaggio criminale e mostrare quanto un eccesso di spettacolarizzazione sia un inganno. Non esistono solo i criminali con la faccia dura, ci sono anche i ragionieri che decidono della vita e morte di tantissime persone. E Cutolo era così.

Si è voluto distanziare da Gomorra e dal cinema che spettacolarizza la camorra.

Sì, a partire dal titolo ho stabilito una dialettica con quel cinema e quella fiction. Per come la vedo io, non mi piace puntare il dito, mi piace raccontare il fenomeno senza staccarlo dalla città.

Napoli, come lei dice, non è una città ribelle.

C’è qualcosa in Napoli che sfugge al luogo comune, la città ride e canta e urla per non piangere, ma nasconde una dimensione tragica. Ho voluto far fare un giro agli spettatori nel terreno che ha favorito quell’humus criminale, al confine tra la legalità e l’illegalità, un confine indistinto, anche tra persone perbene. Lo stesso sindaco Valenzi legittima il contrabbando, quando dice che migliaia di persone traggono sostentamento da questo mondo.

Napoli è assuefazione, si dice più volte nel film.

Mi interessava la fenomenologia di una città che ha prodotto un meccanismo criminale unico, in nessun’altra città del mondo c’è un dialogo così vicino tra l’alto e il basso. Questo si vede benissimo nell’episodio della trattativa Stato-camorra per la liberazione dell’assessore Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate rosse. Moro non è stato salvato perché la Dc romana, andreottiana, decise di non intervenire e non certo per atteggiamento etico, mentre la Dc dorotea decide di trattare e salva Cirillo dalle BR. Addirittura partecipano alla trattativa due luogotenenti di Cutolo, due latitanti. Tutti lo sanno, come raccontano il direttore del carcere e un agente del Sismi: i due hanno i tesserini per entrare e uscire dal carcere e negoziare.

Perché la scelta di non parlare della camorra di oggi?

Perché è stata iper raccontata e sarebbe stato difficile rigenerare quell’immaginario. Ma le immagini del passato non sono diverse da quelle del presente. Per quanto la società si sia evoluta, i meccanismi rimangono simili. Anche in Naples ’44 certe immagini sono simili all’Aleppo di oggi. Credo che il passato sia più chiaro e che permetta di decifrare il presente.

Qual è stata la maggiore difficoltà?

Il lavoro più grosso è stato raccontare in 10’ il caso Cirillo. E poi anche il terremoto del 1980.

C’è una luce in fondo al tunnel?

Oggi la città sta dimostrando che un percorso diverso è possibile. Napoli ha ripreso in mano la sua vocazione turistica, vicoli un tempo inaccessibili oggi sono pieni di alberghi a quattro stelle e ristoranti frequentatissimi. Certo, la criminalità si è spostata. Ma oggi Napoli è città di tendenza. Volendo fare un paragone calcistico, da tifoso del Napoli quale sono, il tanto contestato Aurelio De Laurentiis sta portando una nuova mentalità, una gestione oculata delle risorse per una società che duri nel tempo e i tifosi lo stanno comprendendo. 

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