Francesco Di Leva, dopo l’apprezza performance ne Il sindaco del Rione Sanità, è protagonista insieme a Antonio Folletto di Come prima di Tommy Weber, tratto dall’omonima graphic novel di Alfred, distribuito da Cinecittà. Nel film l’attore è Fabio. Partito giovanissimo per l’Africa per combattere a fianco di Mussolini, dopo la Guerra si trova solo e spaesato in un mondo che non gli appartiene. A riportarlo a casa il fratello Andrè, con cui ha un rapporto conflittuale, come del resto con il padre, che sta morendo. Ne risulta un emozionante road movie in cui Di Leva colpisce con un’interpretazione intensa e non facile.
Come si riesce a interpretare un fascista, in maniera sfumata e non esclusivamente denigratoria?
Si può dire che il mio ruolo nasca da una coincidenza. Per una scommessa coi miei figli ho deciso di diplomarmi, e dunque ho studiato la Seconda Guerra Mondiale e quegli anni in particolare. Una storia ancora viva nella società di oggi. Mi sono chiesto cosa Fabio sapesse veramente del fascismo, e ho capito che l’ideale era solo nella sua testa. Parte per via di un amore non corrisposto da parte del padre. Noi lo ritroviamo dopo la guerra, e lui è rimasto dieci anni indietro. Non è nell’epoca in cui può combattere, essere forte, avere la meglio sugli avversari. E’ un uomo possente fisicamente ma quando tutto è finito è solo un uomo solo, prigioniero di un’ideologia ormai sorpassata. E l’avversario a quel punto diventa suo fratello.
Come si sente Fabio in quel preciso momento?
Secondo me ha dimenticato perché è partito. E’ partito per colpa di un grande litigio con la società. Ma a volte, come quando litighi con un grande amico, nemmeno ti ricordi il motivo per cui avete litigato e non vi parlate più. Si è immerso nei combattimenti, nella trincea, ha fatto la galera, ma ora non si ricorda più chi è e quali sono le sue motivazioni reali.
Un po’ come tutti i grandi reduci del cinema, da Rambo a Willard…
Lo scopriamo dopo, il suo motivo. Perché c’è questa mancanza dell’amore della famiglia. Dice a se stesso che non vuole tornare indietro ma non è vero. Vuole dimostrarsi forte, duro, macho, ma invece è fragilissimo. Un leone col cuore di un agnellino.
Nemmeno l’amore di Maria riesce a tenerlo a Procida…
Nel presente del film, Maria è un fantasma, come tanti altri fantasmi che Fabio lascia nella sua casa natale. Lui li vive quotidianamente come se il tempo non fosse passato, immagina che Maria sia stata lì ferma ad aspettarlo e a soffrire per lui. Quando si separano sono due ragazzini, Fabio ha poco meno di 18 anni, Maria ne ha 16. Partire davanti agli occhi di Maria è un altro modo per mostrare forza, per mostrare i muscoli, ma di base resta un grande incompreso.
D’altro canto nemmeno suo padre è un grande comunicatore…
E’ uno dei problemi del personaggio. Tante colpe le ha Fabio ma anche suo padre non ha la capacità di parlare al figlio e farlo ragionare. Al massimo lo prende a schiaffi ed è questo il suo insegnamento. Anche Fabio non sa ragionare. Con le donne è rude, ci fa l’amore ma non ci parla. Rompe i bicchieri, picchia la gente, urla forte ma non fa altro che scappare da tutti. Questo è l’unico modo in cui sa reagire. Non lo sentiamo ragionare praticamente mai. Anche con il fratello le sue ragioni sono abbastanza povere: “cosa diranno gli amici?”, “Cosa pensa il paese?”. Un ragazzo che a diciassette anni va in guerra è solo. Non conosce nemmeno la lingua. Non ha veri amici.
Uno ce l’ha. Il camerata che lo ospita in un momento di difficoltà, pure se il fratello è “comunista”…
Un amico di guerra è come un amico di galera. Sono amici che non ti puoi scegliere. Hai quelli e te li fai bastare per quello che sono.
Ha letto il fumetto per prepararsi?
Non potevo non farlo. Studio ossessivamente per prepararmi a un ruolo e dunque anche in questo caso. Se ci sono libri o fonti da cui viene il film lo faccio sempre. O meglio, lo faccio se non rischio di esserne influenzato. Ad esempio, prima del film non ho mai visto Il sindaco del Rione Sanità di De Filippo. In questo caso potevo farlo, perché il fumetto non mi avrebbe condizionato, anzi mi ha dato delle suggestioni. Ho “rubato” da lì alcune caratteristiche portanti di Fabio: il filo di barba non rasata, il ramoscello in bocca, che nel mio caso è diventato un fiammifero. Nel fumetto c’è sempre un sole enorme, noi non potevamo rifarlo ma abbiamo riportato l’atmosfera di grande malinconia. Se non ti porti dietro la malinconia non puoi davvero essere un artista.
Altre fonti di ispirazione?
Una foto di mio nonno, tra l’altro rievocata da una posa di Fabio nel fumetto. Anche lui era un pugile e combatteva contro gli americani al porto di Napoli in cambio di una scatoletta di tonno. C’è una foto in cui guarda il sole e sembra proprio Fabio.
C’è un personaggio nel film che accompagna Fabio per tutto il tempo ma alla fine viene brutalmente allontanato…
Il cagnolino con tre zampe. Sono contento che mi faccia questa domanda, anche io ci penso sempre. Ne abbiamo discusso tanto. Se ci penso mi viene la pelle d’oca, so che lo spettatore pensa “perché lo allontani? Cosa stai facendo?”. Ma è una scena importantissima perché è l’ennesima incomprensione per Fabio. Purtroppo Fabio è fatto così, urla spesso, ma non è vero che non gli vuole bene. Il cane però vede un padrone che strilla e fugge via, gli volta le spalle. E’ Fabio a sentirsi abbandonato, infatti il giorno dopo lo cerca, ma senza successo. E’ importante per raccontare chi è Fabio. In fondo ha un grande cuore. Ma dopo quella scena noi spettatori siamo un po’ più soli.
Come chiuderebbe questa intervista?
Ringraziando Folletto, un grandissimo interprete con cui ho lavorato molto bene. Il film sta ottenendo ottimi riscontri dalla critica e anche lei me ne dà conferma. E’ un cinema indipendente che merita sostegno, ci vorrebbero più opere prime di questa qualità..
Qui un articolo sul film.
Qui l’intervista al regista.
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